[Discussioni] Questione della sfida SDMI

Leandro Noferini lnoferin a cybervalley.org
Lun 20 Ago 2001 16:17:52 CEST


Ciao a tutti,

vi mando un articolo ben scritto di Zeus News (non ricordo l'indirizzo
preciso,  spero che  Dario  Meoli mi  perdoni)  sulla questione  della
"craccatura"  prima autorizzata  e poi  no dei  sistemi anti-copiatura
proposti  dall'SDMI   da  parte  di   un  gruppo  di   ricercatori  di
un'università statunitense. 

La questione mi pare interessante in quanto mette in gioco un sacco di
argomenti  a noi vicini  (fra i  quali anche  una difesa  dei brevetti
software!) e perché riguarda anche il diritto a diffondere i risultati
delle proprie ricerche. 

Una sola cosa:  come giustamente fanno notare i  ricercatori nel testo
originale  (che  posso  spedire  a  chi fosse  interessato),  i  soldi
promessi  per  ogni craccatura  riconosciuta  dall'"oracolo" sono  una
miseria,     mentre     nell'articolo     si     parla     di     "bel
gruzzolo".  Sinceramente,  voi dareste  una  scoperta  del genere  per
venticinque milioni di lire? 

;-)

==============Zeus News===========================================
Per favore sproteggimi il CD, che ti denuncio

L'industria discografica  statunitense sfida  il popolo della  Rete ad
aggirare  i suoi  nuovi  sistemi di  protezione  antipirateria per  CD
musicali: in  palio, un  bel mucchietto di  soldi. Ma qualcosa  non va
come previsto.

Chi  meglio  di  hackers  adeguatamente motivati  potrebbe  verificare
l'efficacia di una protezione antipirateria?  Nessuno, ovvia risposta.
Così, la  SDMI (Secure Digital  Music Initiative http://www.sdmi.org),
consorzio  di  aziende  statunitensi  interessate  alla  distribuzione
"sicura"  della   musica  in  Rete,  decide  di   lanciare  una  sfida
(http://www.sdmi.org/pr/OL_Sept_6_2000.htm):  il  messaggio, piuttosto
palese, è che dal  risultato potrebbe dipendere l'adozione commerciale
e l'ulteriore  sviluppo o, al  contrario, l'abbandono di  ciascuno dei
sei sistemi di protezione messi a punto per i CD audio.

Quattro  di  essi hanno  l'obiettivo  di  impedire  la diffusione  non
autorizzata dei CD via  Internet: infatti consentono di individuare le
tracce lasciate  dalla compressione dei  brani audio in formato  MP3 o
altri formati di compressione lossy. I restanti due, invece, mirano ad
evitare la  creazione abusiva di  "compilations" di brani  estratti da
diversi CD.

Le  regole del  gioco  sono chiare:  ogni  partecipante riceve  alcuni
files, protetti  e non, dall'esame dei quali  ricavare le informazioni
necessarie  ad  abbattere  la  protezione,  ma  deve  farcela  in  una
settimana.  Per  tutta la durata  della sfida, i  partecipanti possono
sottoporre  i  files riprodotti  ad  una  specie  di "oracolo"  attivo
attraverso il sito SDMI, ricevendone in  risposta un si o un no. Il no
significa che la  protezione non è superata e  occorre perfezionare il
lavoro. Il sì  equivale a "vittoria": lo schema  di protezione è stato
individuato  e il  partecipante acquisisce  il diritto  a  ritirare il
premio in palio.

E  che  premio!  Diecimila  dollari  per  ogni sistema  neutralizzato,
davvero un bel gruzzoletto. In  cambio, però, il vincitore cede a SDMI
tutti i diritti di proprietà intellettuale sulle tecniche, metodologie
o quant'altro utilizzato per raggiunere l'obiettivo.

La sfida si svolge nell'autunno 2000: tra i partecipanti c'è un gruppo
di  ricercatori dell'università  di Princeton,  guidati  dal professor
Edward Felten. Questi  signori non prendono in esame  il primo dei due
sistemi  anti-compilation,  giudicando il  materiale  fornito da  SDMI
insufficiente per tentare un attacco  serio; superano, a loro dire, il
secondo, ma  non ottengono l'ufficializzazione  dall'"oracolo", che al
riguardo  risponde  sempre   picche,  anche  sottoponendogli  i  files
originali forniti da SDMI;  infine, fanno polpette dei quattro sistemi
anti-MP3.   Anche  senza aprire  un  contenzioso sui  malfunzionamenti
dell'oracolo,  ci  sono in  ballo  quarantamila  dollari: niente  male
davvero.

Ma  qui accade  qualcosa che  SDMI non  ha previsto:  Felten e  i suoi
rinunciano  al   premio  per  rimanere  titolari   dei  diritti  sulla
sperimentazione  effettuata e  pubblicarla, come  del resto  ogni buon
accademico dovrebbe fare.

Apriti, o  cielo. SDMI  e i produttori  dei sistemi di  protezione (in
particolare   Verance  http://www.verance.com)   esercitano  pressioni
sempre meno  velate sui  ricercatori, perché le  informazioni raccolte
nel corso della sfida non siano rese pubbliche, ma Felten non demorde.
Arriviamo così all'aprile di quest'anno: alla vigilia dell'Information
Hiding  Workshop, nel  corso del  quale è  programmata  la discussione
della  relazione   redatta  dal  suo  gruppo,   il  professore  riceve
direttamente dalla RIAA (la SIAE statunitense) una simpatica letterina
(http://www.eff.org/sc/felten/20010409_riaa_sdmi_letter.html).      Per
farla breve, la RIAA sostiene  che la divulgazione di notizie circa il
funzionamento   delle  protezioni   analizzate  potrebbe   mettere  in
difficoltà i loro  produttori e favorire la pirateria,  e minaccia una
azione  legale   contro  il  professore  e   gli  organizzatori  della
conferenza,  secondo  quanto  previsto  dal DMCA  (Digital  Millennium
Copyright                                                          Act,
http://thomas.loc.gov/cgi-bin/query/z?c105:H.R.2281.ENR:),    se    la
discussione avrà effettivamente luogo.

A  malincuore,  Felten  e  i  suoi collaboratori  cedono,  ma  non  si
arrendono  e passano  al contrattacco:  invitati a  presentare l'ormai
famosa      relazione     allo      Usenix      Security     Simposium
(http://www.usenix.org/events/sec01/), che  si terrà a  metà agosto in
Washington D.C., il 6 giugno scorso presentano alla Corte Distrettuale
del   New    Jersey,   con    il   sostegno   della    stessa   Usenix
(http://www.usenix.org,     una     richiesta    di     autorizzazione
(http://www.eff.org/Legal/Cases/Felten_v_RIAA/20010606_eff_complaint.html)
a pubblicare il proprio lavoro,  in nome del famoso Primo Emendamento.
A  pochi giorni  dall'inizio  del  "Symposium" non  si  ha notizia  di
variazioni al  programma e,  d'altra parte, la  relazione di  Felten è
ampiamente               disponibile              in              Rete
(http://www.dvd-copy.com/sdmi/SDMI-Reading-Between-the-Lines.htm):
sembrerebbe  che, una volta  tanto, il  desiderio di  condivisione del
sapere abbia prevalso sull'oscurantismo dei monopolisti.

Fin qui  la cronaca: ma  la vicenda è  ricca di spunti  per edificanti
considerazioni.   Salta  immediatamente  all'occhio l'arroganza  della
RIAA: il professor Felten ha compiuto pratiche di reverse engineering,
ma  solo dopo  essere  stato autorizzato  dai  titolari dei  brevetti.
Inoltre, il regolamento della sfida non stabiliva obblighi a carico di
chi non fosse riuscito a superare le protezioni o avesse rinunciato al
premio. Perciò Felten e colleghi avevano (e hanno) tutto il diritto di
diffondere  i   risultati  del  loro  lavoro.    Questa  è  l'ennesima
dimostrazione  di  quanto  sia  difficile, per  un  comune  cittadino,
difendere  le  proprie  ragioni  contro avversari  del  calibro  delle
multinazionali e delle organizzazioni che ne curano gli interessi.

Tale  situazione  è largamente  favorita  da  normative pensate  dalle
lobbies a proprio uso e  consumo, ed approvate dall'esecutivo in forza
dei noti  legami tra potere imprenditoriale e  potere politico, loschi
anche quando  si mantengano entro  i limiti stabiliti dalla  legge. Il
DMCA,  approvato nel 1998,  ne è  un esempio:  una legge  studiata per
blindare qualunque brevetto o copyright industriale. Scopo dichiarato,
ovviamente, è la difesa dello  sforzo di innovazione dei grandi gruppi
industriali  dagli  attacchi  dei  pirati e  delle  licenze  "libere".
Tuttavia  i  risultati  sono  ben  diversi:  vengono  spesso  tutelati
prodotti mediocri,  lasciando ai produttori piena  libertà di decidere
se e quando  migliorarli; dunque, è in realtà  protetto lo status quo,
bloccando ogni processo spontaneo  di analisi e innovazione.  Inoltre,
vengono sottratte garanzie e libertà agli utilizzatori relegandoli, di
fatto,  in una  posizione di  secondo  piano (quando  non di  presunta
colpevolezza) dal punto di vista giuridico: ad esempio si noti che, in
base  alla  normativa  vigente  sul  diritto  d'autore,  il  legittimo
proprietario di  un cd audio ha  il diritto di  produrne copie, purché
destinate  ad  uso  personale,   nel  quale  rientrano  certamente  la
produzione di files MP3 per ascoltare musica mediante il computer e la
"creazione" di compilation personalizzate (utilizzare allo scopo un cd
piuttosto che un'audiocassetta è un mero "incidente tecnologico").

Ma la storia del professor Felten suggerisce anche qualche riflessione
sulla tecnologia. In particolare, è  il caso di chiedersi come possano
essere  efficaci  sistemi  di  protezione  basati  su  tecnologie  non
implementate dai dispositivi  attualmente in circolazione. Facciamo un
esempio: se al  suono memorizzato sul cd si  aggiunge un segnale audio
non  udibile  (watermark), la  cui  integrità  è  assunta quale  prova
dell'originalità   del   supporto,   solo  lettori   cd   equipaggiati
dell'intelligenza  necessaria  potranno distinguere  una  copia da  un
originale e,  eventualmente, rifiutarsi  di riprodurla. Per  tutti gli
altri lettori,  quel segnale non avrà alcun  significato particolare e
verrà  da   essi  trattato  alla  stessa  stregua   del  "vero"  audio
digitalizzato,  cioè  sarà riprodotto  come  suono:  speriamo che  sia
davvero inudibile, perché in caso  contrario ci vedremo costretti a un
upgrade  hardware.    Inoltre,  come  potranno   i  nuovi  dispositivi
distinguere un originale "vecchio", privo del watermark, da una copia?
Anche  in questo  caso,  auguriamoci  che il  problema  sia di  facile
soluzione  dal punto  di vista  tecnico (è  possibile  distinguere tra
l'assenza del  segnale e la  presenza dello stesso, ma  alterato?), in
quanto non si tratta di  una questione banale: potrebbe significare la
necessità di possedere due apparecchi diversi, uno per riprodurre i cd
vecchi e uno per i nuovi.

Per  quanto riguarda  i lettori  software, è  probabile che  il codice
necessario  venga  incorporato  nei  programmi  "di  marca"  in  tempi
piuttosto  brevi,  mentre  i  prodotti indipendenti,  open  source  in
particolare,  ne resteranno  immuni (semprechè  qualche  nuova leggina
appena    un   poco    corporativista    non   renda    *obbligatoria*
l'implementazione dei  controlli). Invece, per  i dispositivi hardware
(lettori  di cd-rom,  masterizzatori, impianti  HiFi) i  tempi saranno
piu' lunghi; tuttavia non è  escluso che, presto o tardi, rinnovare il
nostro impianto stereo o il  computer non ci riservi qualche sorpresa.
Come         già         ci         ha         insegnato         Alice
(http://www.zeusnews.com/index.php3?cod=704),  meglio non  buttare via
il vecchio modello.

Ma,  in base  all'esperienza, c'è  da aspettarsi  che,  introdotto sul
mercato  un qualsivoglia sistema  di protezione,  nel giro  di qualche
tempo qualcuno sviluppi e diffonda, più o meno in segreto e più o meno
lecitamente, quanto  necessario per  superarlo.  Del resto,  la stessa
Microsoft si dice  convinta che la pirateria non  è questione di "se",
ma di "quando": per questo, secondo i portavoce della casa di Redmond,
è necessario perfezionare continuamente i sistemi di protezione contro
la copia abusiva.  In fondo,  c'è una singolare identità di vedute con
quanto affermato dal professor Felten in conclusione al suo studio: se
l'utilizzatore ha la possibilità di ascoltare suoni e vedere immagini,
riuscirà  anche a duplicarli.   Forse, sarebbe  bene riflettere  su un
aspetto  che  l'industria  discografica  (come del  resto  quella  del
software) si ostina a ignorare:  ogni barriera è inutile; la vera arma
vincente contro la pirateria è il prezzo.
==============Zeus News===========================================


-- 
Ciao
leandro
Email: lnoferin a cybervalley.org
GPG Key fingerprint = 761A 69EA 813A CF14 FACD  1E79 AFF9 1B97 D88E 024C




More information about the discussioni mailing list