[Discussioni] [articolo] L'antipirateria dice: la proprietà privata è un furto
exedre a tin.it
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Mar 5 Giu 2001 10:44:05 CEST
Vi invio invitandovi a dare la più ampia divulgazione (nei limiti della
ripotata licenza di distribuzione) il seguente articolo.
Grazie,
Emmanuele Somma
esomma a ieee.org
cell. 3476204228
L'antipirateria dice: La proprietà privata è un furto
Prima di proseguire nella lettura dell'articolo prendere visione della
licenza di distribuzione riportata in calce. Proseguire nella lettura
significa l'accettazione integrale della licenza di distribuzione connessa a questo
articolo.
Mai avrebbe pensato il filosofo rivoluzionario francese Pierre-Joseph
Prudhon (1809-1865) che le sue, invero un po' radicali, idee riuscissero a
trovare quale paladino instancabile, quasi un secolo e mezzo dopo la sua morte,
il variegato fronte dell'antipirateria composto, senza stare troppo a
sottilizzare tra le etichette audio-video-software, da grossi nomi come la BSA,
l'IIPA, la MPAA, la RIAA e, in Italia, Fapav, FPM, SIAE e Ordine dei
Giornalisti, nonché assurgere a nume tutelare di poche, ricchissime, e molto
agguerrite, multinazionali dell'intrattenimento, dello sfruttamento dei
diritti economici delle opere d'ingegno o dei monopoli del software, come le
grandi etichette musicali, i giganteschi editori multimediali e gli immensi
produttori di software proprietario, con Microsoft in prima fila. Scherzi
del destino.
Autore e principale finanziatore di un sistema di prestito personale senza
interessi ritenuto uno strumento essenziale per realizzare la giustizia
sociale, l'agitato contestatore non si pose grossi problemi a salire sulle
barricate insurrezionali parigine del 1848, né di criticare "da sinistra"
il morbido comunismo marxista tanto da suscitare persino le ire furibonde di
Karl Marx che gli indirizzò un'infuocata critica al suo ``Sistema delle
contraddizioni economiche o filosofia della miseria'' del 1846.
Come non passeranno alla storia le raffinate polemiche puttanistiche (vedi
http://punto-informatico/p.asp?i=36162&p=1 ) di alcuni odierni
personaggi sul teatrino dell'opera buffa per la spartizione del bottino di regime
sulle ultime leggi sull'editoria e sul software, neppure il buon Prudhon
sarebbe salito agli onori della gloria per la semplice ragione di aver fatto
saltare i nervi a Karl Marx, se nei suoi primi anni spesi nella capitale
francese non si fosse concentrato, per quanto lo si potesse in mezzo a
quell'intenso clima rivoluzionario, nei suoi studi di autodidatta scrivendo
alcuni brogliacci di memorie e un libro con oggetto: ``Che cos'è la
proprietà''. Un'opera vigorosamente antagonista pervasa da una semplice quanto
efficace idea portante: ``La proprietà privata è un furto''.
Prudhon, con una semplificazione estrema ma molto feconda, prospetta una
netta separazione tra l'idea originaria della proprietà quale possesso
naturale dei mezzi di produzione (ma oggi trasponendo nella società
dell'informazione potremmo forse dire delle capacità creative) e l'infrastruttura
socioeconomica che tende a concentrare tali mezzi nelle mani di pochi che
li sfrutteranno al massimo. Incredibilmente attuale, vero? Punto di arrivo
della teoria che persino Karl Marx volle edulcorare e contrastare è che,
sottratta la proprietà individuale alla persona, sarebbe stato necessario
sulla base di un super-diritto di proprietà annetterla a corporazioni
estese anche al di là dei confini nazionali che, liberando l'individuo dal
``peccato del furto originario'' lo rendesse veramente libero. Una
condizione di massima armonia sociale (!) che Prudhon identifica con una variante
tutta sua di anarchia (a dire il vero non molto credibile).
Una delle linee portanti dell'attuale antipirateria è il sostegno
incondizionato ad alcune "estensioni" di un concetto particolare di diritto di
proprietà che, parlando in termini giuridici, risulta essere lontanissimo
dai diritti cosiddetti ``reali'' (ovvero i primari diritti dell'essere
umano): il diritto d'autore (che poi nell'accezione intesa dagli antipirati ha
veramente poco a che fare anche con gli autori delle opere d'ingegno ma è
relativo piuttosto a chi intermedia e sfrutta questo lavoro).
Secondo queste moderne teorie estremistiche del copyright, che attraverso
un lungo e documentabile lavoro di pressione sulle istituzioni legislative,
amministrative e giudiziarie, si stanno trasformando nelle peggiori fonti
di distorsione normativa dei nostri codici penali (questo campo sembra
essere l'unico per cui un illecito civile viene punito, e pesantemente, in sede
penale), la proprietà privata di un bene legalmente acquisito non è
ragione sufficiente per permettere all'acquirente di poterne disporre
liberamente, neppure tra le proprie mura domestiche.
Su molti dei pur costosissimi CD musicali, ad esempio, è oggi possibile
leggere la seguente dizione "RISERVATI TUTTI I DIRITTI DEL PROPRIETARIO
DELL'OPERA REGISTRATA". E' l'etichetta di una strana concezione che unita alle
ultime norme emanate tende a far prevalere il diritto del *proprietario
dell'opera registrata*, la casa discografica (mai l'autore), e cioé chi
vende il prodotto, al diritto reale del *proprietario del disco fisico*, e cioé chi compra il prodotto, il quale non potrà far altro che accettare
supinamente le volontà del primo, come e *quando* gli verranno in mente!
Se da domani dovessero decidere che tra i diritti del proprietario
dell'opera registrata rientri quello di imporre l'ascolto solo di mattina prima di
colazione, un clandestino ascolto pomeridiano sarebbe una violazione di tale
licenza d'uso. Già oggi l'acquirente di un CD musicale non può,
secondo molti teorici dell'antipirateria, realizzarsene una copia per lo stereo
dell'auto, o prestarlo ad un amico e, durante una festa in casa non potrà
senza dubbio lasciarlo come sottofondo delle chiacchiere della propria
comitiva senza pagarne gli stessi diritti di esecuzione in pubblico a cui è
tenuta una discoteca.
Cosa ci riserva il futuro? Il campo delle licenze sul software
proprietario in questo caso è il modello. Licenze che prevedono che i software si
possano installare su alcune macchine sì e su altre no, o che si possano
installare ma non usare contemporaneamente, o che si debbano installare o
deinstallare ad intervalli prestabiliti, comunicando alla software house chi
come dove quando e perchè si vuole usare quel programma, esistono persino
licenze di software classisti che non possono essere usati da alcune
categorie professionali particolari, di solito medici o fabbricanti di armi, e
poi programmi protetti da altri programmi, da chiavi hardware, sofware che
telefonano automaticamente per sapere quel tale giorno ci sono le condizioni
climatiche favorevoli per fornire i propri servizi. Insomma un piccolo
panorama di orrori in cui i diritti dei consumatori, nella migliore delle
ipotesi, sono stracciati con una noncuranza che va di pari passo solo al
colpevole lassismo delle istituzioni che dovrebbero tutelare i consumatori. Una
tendenza non più solo limitata al software. Già sono comparsi, infatti,
libri elettronici di fiabe sui quali, oltre al prestito e alla donazione, le
licenze di distribuzione impongono l'impossibilità di leggerli a voce
alta. Secondo alcuni, questi fantasiosi impedimenti all'uso di qualcosa che
avete comprato e pagato in denaro sonante dovrebbero essere limitati solo
dalla contorsione mentale di quanti -senza avere mai dimostrato un grammo di
creatività propria, o avendola tutta spesa in queste ignobili creazioni-
vivono sfruttando tutto il possibile ritorno economico della creatività
altrui.
Mi rendo conto, come molti scettici lettori, che è semplicemente
ridicolo pensare che queste violazioni siano minimamente perseguibili, pertanto più che ridicolo sembra inutile appellarsi a maggiori severità nel
contrastare questi reati così pericolosi per l'ordine pubblico da necessitare
le più severe forme di pena (qualcuno ha fatto notare come le pene per la
riproduzione casalinga di software siano comparabilmente maggiori di circa
due ordini di grandezza rispetto ai reati di corruzione politica, a parità di danno economico), eppure anche quest'urlo sguaiato si è innalzato
più d'una volta dalle bocche rabbiose degli antipirati, sempre pronti a
non fare distinzioni tra il "consumo individuale di prodotti pirata" e lo
"spaccio in grande stile". Le accuse di ``furto'', in questo campo, si
sprecano. Fortunatamente una distinzione, tra comportamenti individuali senza
scopo di lucro e organizzati a scopo di sfruttamento e commercio illegale,
che almeno una parte della magistratura italiana, e l'ultima legge
sull'argomento della Comunità Europea, continuano ad aver chiaro (ma per quanto
ancora?).
Il diritto d'autore è, mi scusino i giuristi per la mia estrema
semplificazione della materia -ma solo quanto dovranno avermi già scusato gli
studiosi di filosofia per l'altrettanto radicale semplificazione della
filosofia prudhoniana- il diritto d'autore, dicevo, è un diritto secondario e un
po' posticcio attaccato lì per (non si è bene ancora sicuri di quale)
utilità sociale nel tardo ottocento, ma concretizzatosi universalmente
solo durante il periodo odioso dei peggiori nazionalismi oscurantisti che la
prima parte dello scorso secolo ci ha riservato. Fa un po' senso, e
racconta molte cose, ad esempio, vedere che questa legge della Repubblica Italiana
di cui gli antipirati tanto menano vanto rimane ben piantata su quella del
1941 che inizia con queste solenni parole: ``Vittorio Emanuele III Per
grazia di Dio e per volontà della nazione Re d'Italia e di Albania
Imperatore d'Etiopia Il senato e la camera dei fasci e delle corporazioni a mezzo
delle loro commissioni legislative, hanno approvato; Noi abbiamo sanzionato e
promulghiamo quanto segue...''
(http://www.giustizia.it/cassazione/leggi/l633_41.html ).
L'estensione estremistica, propugnata da questo aggregato di antipirati,
di questo diritto posticcio e contorto che tende a limitare la proprietà
privata individuale a favore di una sempre più vaga idea di proprietà
intellettuale che assegna peraltro solo in misura minima e trascurabile
vantaggi agli autori ma soprattutto tende a lasciar prosperare alcune
organizzazioni non meglio identificate, sarebbe stato il sogno di Pierre-Joseph,
senza dubbio. Salterebbe dalla gioia scoprendo che qualcuno sia stato in grado
di inventare ed imporre un super-diritto positivo capace di mangiarsi a
colazione quello reale di proprietà, che nei diritti umani sembrava essere
tra i più inalienabili, e che organizzazioni transnazionali riuscano a
gestire totalmente, fuori da ogni controllo legale complessivo, la vita degli
individui (perché nella società dell'informazione chi controlla il
flusso informativo controlla la vita individuale). *Questo* copyright è il
sogno felice del teppista-filosofo Prudhon.
Però è il nostro incubo. Già dobbiamo fare i conti con delle
cariatidi ingrassate che continuano ad essere la pesante eredità irrisolta che
le istituzioni e leggi italiane hanno tutt'oggi con il ventennio fascista,
come l'Ordine dei Giornalisti e la SIAE, nate sotto il fascismo e mai più
riformate nella sostanza, ma di tornare alle fantasiose ed estremistiche
elucubrazioni di un rivouzionario fallito del 1848 per mano della congrega
degli accoliti di alcuni dei più ricchi del mondo: no, scusateci, ma questo
è proprio insopportabile!
Se proprio vogliamo tornare alle rivoluzioni facciamolo come si deve,
allora. Come avvenne nel 1791 durante la Rivoluzione Francese, a cui la Storia
riservò forse miglior sorte dei vaneggiamenti prudhoniani, facciamo in
modo di garantire il diritto di sfruttamento economico per soli cinque anni
tutelando fortemente il diritto di paternità dell'opera d'ingegno contro
il plagio. Tanto basta nella società dell'informazione, dove cinque anni
sono poco meno di un'eternità, senza che questa tutela pensata per
garantire l'avanzamento culturale degli individui si trasformi in quella odiosa
forma sociale di servitù pratica e soggezione politica che le recenti
iniziative del fronte dell'antipirateria ha appena cominciato a farci
intravvedere.
30 Maggio 2001 - ``L'antipirateria dice: la proprietà privata è un
furto!''
(c) 2001, Emmanuele Somma - Tutti i diritti riservati / All Rights Reserved
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l'attribuzione di paternità e la licenza di distribuzione. Ogni eventuale
ripubblicazione, per estratto o citazione desunta dall'articolo dovrà
richiamare, eventualmente in nota, per esteso l'intera licenza. Attenzione: Questo
articolo non può essere *letto* e *citato* ;-), in alcuna forma e modo, da
nessuna persona che abbia alcun tipo di rapporto economico o funzionale di
dipendenza con le sunnominate organizzazioni per lo sfuttamento
commerciale dell'opera creativa, ed in particolare BSA, RIAA, MPAA, IIPA, FAPAV, FPM,
SIAE e Ordine dei Giornalisti. L'autore si riserva di agire in giudizio
per tutelare i propri interessi contro i ``pirati'' che non rispetteranno la
licenza allegata a questo articolo. Il Foro competente è quello di Roma.
Questa è l'esplicita volontà dell'autore.
[Convenzioni tipografiche] Il primo paragrafo e la licenza di
distribuzione dovrebbero essere riportati nel più piccolo carattere leggibile, grazie.
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