[Discussioni] (fwd) [ZeusNews] Una critica liberale alla proprietà intellettuale
Nomen Nescio
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Mer 5 Maggio 2004 15:10:05 CEST
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Subject: [ZeusNews] Una critica liberale alla proprietà intellettuale
Date: Mon, 03 May 2004 15:52:45 GMT
Lines: 173
Forse è giunto il momento di parlare con durezza e schiettezza. Dire alcune
paroline poco garbate sulla proprietà intellettuale, magari da una
prospettiva insolita.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - News, 01-05-2004]
Alcuni, pochi invero, si sono accorti che la Camera ha approvato, con
modifiche subdole ma assai efficaci ed importanti, il decreto legge Urbani,
decreto che, nell'assegnare all'industria del cinema consistenti sussidi,
introduce una repressione penale della condivisione, anche senza scopo di
lucro, dei file mediante sistemi P2P.
Sono questi giorni di assordante silenzio, specie da parte di quei dotti
giuristi sempre lesti nel prendere la penna per denunciare le nefandezze di
un legislatore tracotante e liberticida.
Difendere i «pirati», quei giovani «ladri» che pretendono di poter
impunemente ascoltare musica o guardare un film nei pochi centimetri
quadrati dei loro monitor senza pagare il biglietto, non si addice forse a
chi ha fatto della legalità la propria stella polare. A prescindere da ciò
che quella legalità rappresenti.
Forse è però giunto il momento di parlare con durezza e schiettezza. Dire
alcune paroline poco garbate sulla proprietà intellettuale, magari da una
prospettiva insolita. Liberalismo contra proprietà intellettuale? Trattasi
forse di una provocazione? Di un ossimoro?
Proprietà intellettuale. Con tale termine ci si riferisce ad una pluralità
di istituti giuridici che spaziano dal diritto d'autore ai brevetti, dai
marchi alle insegne.
Il termine proprietà, se altamente evocativo, ben poco si conviene a tali
fenomeni. E ciò non solo e non tanto per via del fatto che essa, nella
nostra tradizione giuridica, indica un dominio sulle cose, porzioni del
mondo fisico, ma anche per via del fatto che la proprietà intellettuale, a
differenza di quella "reale", ha connotati, finalità e limiti non condivisi
con questa.
Si prenda il diritto d'autore. Esso nasce come strumento di censura e
controllo che il potere politico volle esercitare sulla circolazione delle
idee. Sotto questa veste non era però destinato a fare lunga strada e presto
si circondò di una carica retorica che ne rese accettabili le reali funzioni
alle quale era destinato.
Nel 1557 Filippo e Maria, i successori cattolici di Enrico VIII, emanano la
Stationer's Charter che attribuí alla corporazione degli stampatori inglesi,
riuniti nella Stationer Company, il potere di vietare la stampa di libri
proibiti, adiuvati in ciò dal braccio repressivo rappresentato dalla
famigerata Star Chamber. Stampare libri al di fuori delle regole imposte da
costoro, che detenevano un monopolio totale su questa attività, sarebbe
stato penalmente perseguito.
Ma il mondo stava cambiando e i monopoli concessi dai regnanti avevano le
ore contate. L'era dei lumi era alle porte ed ergersi a difesa della censura
diviene impraticabile.
La strategia cambiò: nello Statute of Anne del 1710, il primo documento
normativo che contenga già tutti gli elementi del diritto d'autore moderno,
si afferma che è necessario proteggere gli autori, che letteralmente muoiono
di fame, da perfidi stampatori, che senza dar loro compenso alcuno, copiano
le loro opere arricchendosi alle loro spalle.
La verità era assai piú prosaica. Gli stampatori inglesi stavano
sperimentando la concorrenza derivante dalla cessazione dei monopoli. E
l'esperimento non fece loro piacere. [Per una ricostruzione storica
dettagliata si veda U. Izzo, Alle radici della diversità tra copyright e
diritto d'autore, in G. Pascuzzi e R. Caso, I diritti sulle opere digitali,
Padova 2002. Si veda L. Ray Patterson, Copyright and "The Exclusive Right"
of Authors]
"Il Congresso per favorire lo sviluppo delle Arti e della Scienza avrà il
potere di conferire agli autori, per un tempo limitato, un diritto esclusivo
sulle loro opere". Cosí la Costituzione americana.
In verità tale diritto esclusivo, sino al '900, fu concesso solo a cittadini
americani, per cui le opere degli inglesi, degli spagnoli, dei francesi o
degli italiani, potevano essere impunemente copiate. Ciò era assai logico:
gli americani importavano cultura, e volevano farlo a buon mercato. Poi
divennero esportatori...
Nel 2003 Topolino sarebbe divenuto di pubblico dominio. Pluto lo avrebbe
seguito nel 2006. Ciascuno avrebbe potuto utilizzare il personaggio per
farne ciò che credeva, senza dover chiedere consenso alla Disney. Ma nel
1998 fu però introdotta un'apposita legge che allungava di 20 anni il
termine di scadenza del diritto d'autore.
E' interessante notare che l'assetto normativo che a Disney consentí di
utilizzare opere intellettuali altrui senza dover pagarne il fio, oggi sia
mutato al punto di consentire alla Disney di impedire che altri facciano ad
essa ciò che essa fece ai suoi predecessori.
Il diritto d'autore ha una sua carica morale che ne rende l'estensione assai
ben accetta. Esso è fonte di remunerazione per chi aiuta a far crescere la
nostra cultura. Ciò solo ne è infatti giustificazione. Vi è quindi da
domandarsi se, allor quando esso diventi un limite alla crescita della
nostra cultura, non sia il caso di ripensarne l'estensione.
Ma in questi termini ci troviamo nella situazione problematica di misurare
costi e benefici che non riusciamo a definire con precisione.
La grande industria pesante ad alta densità di manodopera, consentita dal
progresso tecnologico, ad un certo punto è stata soppiantata, sempre per via
del progresso tecnologico, da modalità di produzione a minor densità di
manodopera. Ciò si tradusse nella perdita di un elevato numero di posti di
lavoro.
Ma il passaggio a modalità produttive che si sono dimostrate piú efficienti,
e che hanno nel lungo periodo consentito di riassorbire la manodopera persa,
hanno visto la resistenza di molti e, spesso, l'intervento dello Stato che,
per impedire i costi sociali e politici della transizione, finí con il
sovvenzionare imprese decotte, distorcendo il mercato e di fatto rallentando
un processo di crescita dell'efficienza del sistema economico che avrebbe
piú rapidamente potuto diminuire i costi che le sovvenzioni cercavano di
rimandare.
Oggi assistiamo a qualcosa di analogo nel campo del diritto d'autore. Le
nuove tecnologie della duplicazione ne disarticolano profondamente
l'effettività. Tale processo è irreversibile. A ciò si risponde con una sua
costante estensione, e con la contestuale predisposizione di apparati
repressivi altamente costosi che possano rendere tale estensione effettiva.
Si fa ciò nel nome dell'industria dell'intrattenimento e dei suoi modelli di
business. Si dice che chi "ruba emozioni" fa perdere soldi al fisco e
contribuisce alla disoccupazione di milioni di persone. Ciò è vero. Cosí
come moltissimi posti di lavoro sono stati persi dalla meccanizzazione dei
processi produttivi.
Vi sono modi diversi di concedere sussidi a un'industria. E non stupisce
quindi che il decreto Urbani conceda da un lato moneta sonante, e dall'altro
repressione penale. Sono due modi di finanziare un industria di cui
l'umanità ha fatto a meno per millenni, pur riuscendo a giungere a vette
culturali immense.
Oggi uno Shakespeare non potrebbe scrivere gran parte dei suoi drammi se non
dopo aver ottenuto il consenso scritto degli autori che lo precedettero e
che avevano prima di lui utilizzato quelle trame. [James D. A. Boyle, The
Search for an Author: Shakespeare and the Framers, 37 Am. Univ. L. Rev. 625
(1988)]
Oggi molte attività creative necessitano la costante consulenza di un
giurista che dica cosa può essere fatto e cosa non può essere fatto. Una
riflessione sui costi sociali del diritto d'autore scevra da ogni
impostazione retorica e morale si rivela oggi quanto mai necessaria.
Andrea Rossato
http://www.zeusnews.com/index.php3?ar=stampa&cod=3037&numero=999
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"Mala tempora currunt"
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