[Discussioni] Risposta alla lettera di MS a Cortiana

Giacomo Cosenza giacomo.cosenza a sinapsi.com
Gio 23 Set 2004 01:48:45 CEST


On Thu, 2004-09-23 at 01:34, Renzo Davoli wrote:
> Sono perplesso su quanto sia conveniente mostrare all'opinione pubblica
> il software libero all'interno di confronti a' la ring pugilistico.
perplessitą condivisa. pero' ci tocca, come si dice.
quindi,....affiliamo il cervello....e teniamo a bada le
emozioni....cercando di evitare la figuraccia che ha fatto questa
mattina un ragazzino impertinente...chi c'era capisce....
mimmo

> 
> 
> 	renzo
> 	direttore del master in tecnologia del sw libero e open source
> 	universita' di bologna
> 
> -----------
> 
> LETTERA APERTA AL SENATORE FIORELLO CORTIANA
> IN MERITO ALLA LETTERA DELLA MICROSOFT di meta' luglio 2004.
> 
> Ho letto con estremo interesse la lettera che la MS ti ha indirizzato.
> 
> Il mio primo pensiero e' stato: "abbiamo fatto bene il nostro lavoro".
> In molti punti occorre dare atto che ci sono stati dei cambiamenti di atteggiamento
> da parte di Microsoft e questo e' sicuramente dovuto alla necessita' di
> confrontarsi con una crescente consapevolezza politica ma anche del mercato e degli 
> utenti sui rischi del software proprietario e dei formati chiusi.
> La lettera rivolta a te ha sicuramente toni molto diversi da quella scritta
> a suo tempo al tuo omologo Villanueva in Peru'.
> Questa consapevolezza l'abbiamo creata noi tutti con le nostre lotte quotidiane,
> continuando a gridare a gran voce contro brevetti, iperdiritti di autore ecc.
> 
> La lettera indica che le pubbliche amministrazioni devono operare senza discriminare
> fornitori nella acquisto di beni e servizi.
> Questo e' un principio sacrosanto.
> Quanto alla valutazione di costi e benefici le pubbliche amministrazioni hanno pero'
> responsabilita' superiori a quelle di una azienda: devono valutare *non* il
> costo per l'ente o l'incidenza sul bilancio pubblico ma i costi/benefici per l'intero
> sistema paese, cittadini compresi.
> Il caso limite e' quello di un fornitore che regali a scuole e enti pubblici propri
> programmi che operino con formati proprietari chiusi e quindi obblighino famiglie
> e imprese commerciali a comperare gli stessi prodotti per interoperare con la
> pubblica amministrazione (questa volta la ditta in questione non fornisce i programmi 
> gratuitamente!).
> Questa e' una tassa occulta sui cittadini, anche se nel bilancio dell'ente si e' 
> perseguito il massimo rapporto costi/benefici.
> 
> In ogni modo le pubbliche amministrazioni e talvolta le aziende hanno anche
> esigenze di trasparenza che mal si coniugano con programmi e formati proprietari
> chiusi.
> E' il caso per esempio del software di elaborazione dei risultati elettorali:
> deve essere riconosciuto il diritto al cittadino o ad un suo consulente, oltre che
> agli organi di giustizia di poter controllare il funzionamento dei programmi in
> ogni dettaglio per garantire l'imparzialita' del procedimento.
> E' lo stesso principio per il quale le operazioni di spoglio elettorale sono
> pubbliche e non a porte chiuse.
> Un altro caso e' il software di analisi forense: il reperimento di prove all'interno
> di sistemi informatici deve essere effettuata con strumenti open source o almeno
> a sorgente pubblicato (che non e' la stessa cosa!) per garantire l'imputato e l'accusa
> che le prove o la mancanza di esse non sia frutto di una elaborazione errata.
> In genere tutte quelle operazioni che coinvolgono l'uso di software e hanno
> un potere probatorio o liberatorio illimitato dovrebbero consentire al cittadino
> di poterne verificare o far verificare il funzionamento al fine di evitare abusi.
> E' il caso per esempio del software per la firma elettronica che assurdamente oggi 
> viene fornito di fatto esclusivamente con programmi proprietari chiusi che operano 
> su sistemi operativi proprietari chiusi e *non* interoperanti: lo sforzo di creare 
> un software libero di firma si scontra con cambiamenti non documentati dei formati 
> di registrazione e dei protocolli. 
> 
> Devo purtroppo fare il mio mestiere di professore e segnare con la biro rossa la
> frase: "Microsoft guarda all'Open Source con estrema attenzione dimostrando di
> *avere ben compreso ed accolto positivamente* le ragioni che sono alle sue origini".
> Il programma Shared Source non ha *nulla a che vedere* con l'Open Source.
> Shared Source non e' infatti elencata come licenza Open Source in www.osi.org.
> Si gioca ancora una volta sul fatto che molti ritengono la leggibilita' del
> sorgente l'unica condizione dell'Open Source, al contrario perche' un programma
> possa definirsi Open Source occorre fra le altre cose 
> (http://www.opensource.org/docs/definition.php):
> * che i sorgenti siano "integralmente" leggibili (nessun 3% di codice nascosto) e che
> siano disponibili a tutti e non a categorie specifiche di utenti
> * che tali sorgenti siano modificabili e ridistribuibili
> Shared Source non rispetta nessuna di queste regole e serve solo a dare un
> privilegio di concorrenza per alcuni operatori rispetto ad altri e a quanto
> pare come alibi.
> 
> E' vero che con sorpresa e soddisfazione abbiamo trovato alcuni progetti di
> Microsoft in SourceForge. La comunita' e' aperta a tutti.
> Per gotdotnet vorrei ancora una volta correggere il mittente della lettera:
> il sito corretto e' www.gotdotnet.com e non www.gotdotnet.org come indicato.
> Quel suffisso in realta' ha anche una valenza semantica.
> Per poter collaborare in gotdotnet occorre avere un account passport. 
> Le condizioni (terms of use) della registrazione di un utente nel servizio 
> .net passport di Microsoft prevedono:
> http://www.passport.net/consumer/termsofuse.asp
> ------
> SOFTWARE AND CONTENT AVAILABLE ON THE .NET PASSPORT SERVICES
> All content and software (if any) that is made available to view and/or download 
> from the Web pages that are part of the .NET Passport Services ("Software") is 
> owned by and is the copyrighted work of Microsoft and/or its suppliers. 
> ------
> E' uno strano modo di aver capito l'open source. Il software che pubblico
> con sourceforge.org, il repository piu' importante di software veramente open source,
> rimane mio, sourceforge non rivendica diritti su esso al
> contrario di MS.
> Quello che Microsoft ha capito e' che le community generano ottime idee e 
> ottimo codice, e vuole attirare valenti creativi software nella sua sfera di
> influenza.
> D'altra parte se doveva essere un sito di collaborazione per progetti open source
> che necessita' c'era di crearne un altro, sourceforge, savannah e freshmeat
> funzionano benissimo. 
> 
> E' curioso che oggi nella home page di gotdotnet ci sia linkato
> un articolo su longhorn che rende ancora piu' chiara la strategia: 
> nel prologo dell'intervista al VicePresidente della Microsoft S. "Soma" 
> Somasegar in merito a Longhorn si legge infatti:
> (http://news.com.com/Promoting+the+promise+of+Longhorn/2008-1012_3-5275644.html):
> "Somasegar's job is to keep those programmers within the Microsoft fold. 
> His strategy is simple: give developers the tools to write code securely and 
> faster than Java and open-source alternatives." cioe':
> Il lavoro di Somasegar e' di mantenere quei programmatori dal lato di Microsoft.
> La sua strategia e' semplice: dare agli sviluppatori i tool (proprietari chiusi n.d.t)
> per scrivere codice in modo sicuro e piu' veloce di quanto accada per Java o negli altri 
> mondi Open-Source.
> 
> Mi pare una visione abbastanza opposta, di competizione con l'Open Source e non
> di adesione al modello come si potrebbe frettolosamente leggere nella lettera 
> indirizzata a te Fiorello.
> 
> Se non si puo' che concordare che l'interoperabilita' sia un fattore fondamentale
> dell'ICT, e' difficile credere che chi fino a ieri o a stamattina questa
> interoperabilita' non la cercava e al contrario fondava il proprio mercato sulla
> incompatibilita' e sui formati chiusi cambi repentinamente rotta.
> 
> In realta' cio' che sta succedendo e' che i movimenti del software libero e 
> dell'open source sono riusciti a mostrare quale pericolo rappresentino i
> formati e i programmi proprietari chiusi dal punto di vista della dipendenza 
> economica (e forse anche politica).
> In questa crescente consapevolezza quale mercato possono avere i possessori delle
> quote di maggioranza di alcune aree di mercato? Quella di proporre formati
> proprietari con specifiche leggibili (non aperte, non modificabili da terzi!). 
> Queste aziende pubblicano le specifiche dei loro formati e questo rende i loro software 
> interoperabili ed e' un grande passo avanti, ma al tempo stesso mantengono il 
> controllo dei formati che non possono avere evoluzioni indipendenti. Forse e' 
> questo che intende il dott. Dal Pino con Open Standard.
> 
> Nella lettera si "auspica collaborazioni con gli enti di standardizzazione; 
> in particolare, i vocabolari XML dovrebbero essere sviluppati tenendo conto 
> degli elementi base specifici per l'eGovernment" seguendo i risultati di
> studi dell'unione Europea.
> Non appare chiaro come il linguaggio sia quello di un monarca assoluto che fa
> concessioni?
> Non e' che "si deve tener conto" delle esigenze della pubblica amministrazione
> ma occorre che le aziende fornitrici sviluppino esattamente cio' che serve alla pubblica
> amministrazione. E' la domanda che deve formare il mercato in particolare cio'
> che serve alla PA. Non e' la PA che deve adattarsi all'offerta e ringraziare
> se si e' tenuto conto delle proprie esigenze ma l'azienda fornitrice che deve
> consegnare cio' che e' richiesto come serve o rinunciare alla fornitura.
> 
> Appare chiaro come i detentori di mercati dominanti stiano puntando sull'inerzia
> al cambiamento per mantenere il mercato con formati che non possono piu' essere
> completamente chiusi ma che possono essere usati solo dal proprietario del formato 
> e da quanti sono nella sua corte. 
> 
> E' il caso della XML Reference Schema Patent License dove si legge:
> "Microsoft hereby grants you a royalty-free license under Microsoft's Necessary Claims 
> to make, use, sell, offer to sell, import, and otherwise distribute Licensed Implementations 
> solely for the purpose of reading and writing files that comply with the Microsoft 
> specifications for the Office Schemas."
> Suona piu' o meno cosi':
> "Microsoft concede una licenza senza royalty (costi) ... per fare, usare, vendere, rivendere,
> importare e distribuire implementazioni sotto questa licenza esclusivamente allo
> scopo di leggere e scrivere file che aderiscono alle specifiche degli Office Schema"
> Si legge chiaramente che manca il diritto a modificare e migliorare gli schemi.
> E' una interoperabilita' a senso unico, non ha nulla a che vedere con gli standard aperti. 
> Uno standard aperto e' tale solo se, fermi restando i crediti a chi ha contribuito,
> tutti possono concorrere liberamente a successive versioni estensioni in un regime
> di vera libera concorrenza virtuosa.
> Cosi', questa divulgazione a senso unico non e' che la riedizione del solito 
> controllo di mercato dominante con nuovi strumenti.
> Per gli standard di Internet non e' cosi'. La IETF e' un organismo indipendente, 
> nessuno ha la proprieta' del TCP o dell'HTTP eppure mi pare che le cose evolvano
> e siano altamente interoperanti con una molteplicita' di attori in gioco.
> Cio' che appare non chiaro ancora al dott. Del Pino e' che gli standard e il software 
> open source fanno riferimento ad un concetto di liberta' e non di costo. 
> 
> Non e' la mera leggibilita' delle specifiche del formato che crea libera concorrenza sul
> mercato, e' solo un piccolo passo in avanti. 
> Anche una accorta politica di aggiornamenti puo' 
> blindare il mercato da implementazioni parallele indipendenti o forse addirittura
> in alcuni casi in futuro una politica di royalty per l'uso del formato.
> 
> Non dimentichiamo che e' la stessa Microsoft che qui mostra un volto e poi brevetta
> il doppio click e la registrazione dei prodotti software on-line con trasmissione dei
> dati appena possibile (con grave incertezze della privacy, cosa verra' veramente
> trasmesso? Occorre fidarsi ad occhi chiusi, come il software chiuso appunto).
> Questi Brevetti appaiono casi di Prior Art, applicazioni non originali, 
> ampliamente e comunemente utilizzate. A cosa servono tali simili brevetti se non come
> armi legali contro il mondo?
> 
> Parliamo allora delle responsabilita' dei Governi, come espresse nella lettera:
> 
> - devono dare garanzia al cittadino che ci avvenga senza ledere i suoi diritti di scelta, 
> nel rispetto della sua sicurezza e privacy;
> 
> La sicurezza e' indipendente dal modello di sviluppo, dipende solo dalla qualita' del software.
> Esistono ottimi prodotti con ottimi livelli di affidabilita' sia nel mondo open source
> sia nel mondo proprietario cosi' come ne esistono di pessimi.
> Che la conoscenza delle procedure non sia di nocumento alla sicurezza e' un principio 
> ormai accettato da tutti da almeno 130 anni (Trattato di Crittografia Militare, 
> Kerckhoffs, 1883) e provato dai numerosissimi (ottimi) software open source in uso anche
> in situazioni critiche (e.g. www.netcraft.com la statistica dei web server indica che 
> il 67.70% circa usano il software Apache, open source).
> Alcune considerazioni pero' sono necessarie a questo punto. 
> La privacy in prodotti proprietari non puo' essere che un atto di fede nel costruttore
> del software. Non e' possibile in caso di dubbio controllare o far controllare 
> come realmente vengano trattati i propri dati.
> In caso di incidente (possono avvenire incidenti per ogni tipo di software) se e' in uso
> software proprietario occorre attendere i rimedi dalla ditta produttrice, col software
> open source singoli utenti o gruppi possono creare (far creare) soluzioni o pallitivi in modo 
> indipendente.
> 
> - devono dare spazio all'innovazione, assicurando un mercato florido e competitivo secondo 
> regole chiare e trasparenti;
> 
> Vero. ma integriamo questo principio... 
> "che consentano a ogni operatore di poter essere protagonista sul mercato, nella libera
> concorrenza delle idee". Deve essere garantita la "Liberta' di pensiero algoritmico", il diritto
> di scrivere programmi a partire da un foglio bianco senza che altri possano rivendicarne diritti.
> Il Diritto al libero pensiero algorimico e' in pericolo a causa dei Brevetti sul Software.
> 
> - devono consentire l'accesso alla conoscenza e lo sviluppo di competenze da immettere sul 
> mercato del lavoro.
> 
> Sono d'accordo. Occorre incentivare la conoscenza e le competenze che consentano a chi le
> riceve di poter operare libere scelte, di potersi aggiornare. Il fornire competenze 
> "pubblicitarie" legate a specifici prodotti non e' competenza dello Stato ma delle ditte
> interessate. I governi devono incentivare la didattica super-partes, a molte voci, 
> la logodiversita'.
> Anche da un confronto con il mondo della Biologia la migliore evoluzione si ha dove c'e'
> diversita' nel patrimonio genetico. Quando in un ambiente gli individui sono molto simili
> geneticamente la popolazione risulta debole e molto soggetta ad attacchi virali.
> Mi ha sempre incuriosito questo paragone con fenomeni nel mondo dell'informatica...
> 
> - devono favorire una politica di riuso, per l'attuazione della quale il fattore 
> interoperabilit rappresenta il presupposto imprescindibile;
> 
> Anche qui occorre attenzione: il riuso non deve diventare inerzia che in molti casi puo'
> rendere cronici errori del passato. L'uso di formati chiusi proprietari e l'omologazione del
> know-how hanno portato a enormi costi di uscita (cioe' di cambiamento) per le pubbliche
> amministrazioni. Per cortesia non sia il "riuso" un alibi per ripetere errori!
> Occorre cambiare marcia: le PA devono essere protagoniste: chiedere 
> garanzie su software e formati per non rimanere piu' impantanate in scelte obbligate 
> per gli alti costi di cambiamento, a quel punto i fornitori saranno in vera libera 
> concorrenza e il riuso sara' reale.
> Io ristabilirei il principio come: "Devono favorire una politica di riuso attraverso
> soluzioni che rendano il mercato piu' libero e con una molteplicita' di attori. Per
> fare cio' risulta quale presupposto imprescindibile l'interoperabilita' attraverso formati
> aperti". Dove con formati aperti si deve intendere non solo leggibili ma non di proprieta'
> di un singolo fornitore.
> 
> Le community e il modello bazaar hanno dimostrato che si puo' scrivere ottimo codice
> anche per grandi progetti innovativi senza avere sulla testa la cupola della
> cattedrale della grande software house.
> Questo dimostra anche che il singolo cittadino ha la possibilita' (e il diritto) di
> scrivere i propri programmi (il diritto di libero pensiero algoritmico indicato prima).
> Occorre divulgare la consapevolezza di poter essere protagonisti dell'ICT e 
> di non voler essere sudditi dei formati chiusi e proprietari ma liberi di poter 
> scegliere.
> Questa consapevolezza si sta facendo strada nonostante che nelle scuole, in molti corsi
> universitari e nella formazione del personale si educhino le persone ad essere
> spettatori e non protagonisti del mondo dell'ICT: la patente europea potrebbe essere
> piu' efficacemente essere sostituita da un corso generico di lettura di manuali
> e l'informatica (quella vera, la scienza Informatica) potrebbe essere insegnata 
> nelle scuole come educazione alla scrittura di algoritmi. 
> Altrimenti pretendo che nelle scuole si insegni anche come si usano i telefoni
> cellulari (www.eppdl.org), ascensori, centralini telefonici, etc.
> Sono tutti strumenti di lavoro, esistono manuali e regole da rispettare.
> 
> Un ultima nota, talvolta anche il lessico condiziona il modo di pensare.
> Non esiste l'industria della musica cosi' come non esiste l'industria cinematografica o
> peggio ancora l'industria del software. Correttamente si parla di industria editoriale e non
> di industria letteraria: la letteratura, come la musica, il cinema e il software sono 
> risultati di attivita' creativa. Parlare di industria della musica sarebbe come parlare 
> dell'industria delle ricerca. Nessuno timbra il cartellino per produrre una sinfonia o un
> risultato scientifico dalle 9 alle 5. L'industria puo' solo produrre i supporti e divulgare 
> quelli, infatti non vende musica o software ma solo dischetti e diritti d'uso. Chiamiamo 
> allora le cose come si deve: da un lato c'e' l'industria editoriale, l'industria di 
> distribuzione cinematografica, l'industria di distribuzione di software, dall'altro c'e'
> la musica, il cinema, la letteratura, l'informatica, la matematica etc. 
> che sono arti e scienze e non industrie!
> 
> renzo davoli
> Direttore Scientifico
> Master in Tecnologia del Software Libero e Open Source
> Universita' di Bologna
> %--------------
> Rilasciato con licenza FDL con parte invariante l'intero documento.
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