[Discussioni] Re: [Dmedia] Alcuni commenti/riflessioni a valle del convegno sul DRM di Trento

Nicola A. Grossi nicola.grossi a scarichiamoli.org
Sab 24 Mar 2007 13:36:07 CET


Mi fa piacere che siano emerse tutte le questioni che ho sempre portato 
alla vostra attenzione.
Mi permetto un commento.


Leonardo Chiariglione ha scritto:

>
> 1. La definizione di DRM continua ad ostacolare il dibattito. Molti 
> (ma non tutti) intellettualmente accettano la definizione NIST di DRM 
> System: “A system of IT components and services which strives to 
> distribute and control content and its rights”. This operates in an 
> environment driven by law, policies and business models. All’atto 
> pratico ci troviamo di fronte i luddisti che rifiutano ogni sorta di 
> “management”, coloro che accettano solo il “management” e rifiutano 
> ogni forma di protezione, quelli per cui DRM è “protezione punto”. In 
> questo contesto la voce della ragione che dice “management è 
> management” ed ognuno, all’interno della legge, faccia un po’ quello 
> che gli pare stenta a farsi sentire.
>
Proprio perché ci sono quelli per cui DRM è "protezione punto", continuo 
a ripetere che usare una terminologia diversa risolve il problema
(avrebbe risolto il problema).

> 2. La complessità degli aspetti giuridici mi è ora molto più chiara. 
> Anche all’interno di dmin.it abbiamo ampiamente parlato della 
> possibilità di scambiare (non necessariamente alla pari) contenuti con 
> dati d’uso ed allego un mio disegno esplicativo di che cosa la frase 
> significa. Un oratore ha parlato di DRM e Privacy a cui ho opposto che 
> il problema non si pone (dovrei dire adesso, non si poneva). Basta che 
> i miei dati siano rilasciati in DRM (di protezione, se necessario) con 
> una bella licenza attaccata che dice che cosa il licenziatario può 
> fare dei dati. Bene, scopro che in Italia uno non può vendere i suoi 
> dati. Ora, capisco che alcuni dati che toccano la sfera più intima 
> dell’individuo non possano, per legge, essere commerciati (così come 
> in Italia uno non può cedere tutti i diritti ad un’opera da lui 
> creata), ma che uno non possa “vendere” i propri dati mi pare assurdo. 
> Nonostante questo, ho poi verificato con un altro oratore che ci sono 
> mezzi relativamente semplici (ad esempio dare in dati in 
> amministrazione ad un’agenzia) per aggirare il divieto.
>

Francamente speravo che lei avesse scoperto il problema non a Trento ma 
su questa lista, visto che gliene ho parlato più volte.
Personalmente non ci trovo nulla di assurdo: i diritti della persona 
sono indisponibili. Lei non può vendere la sua salute, il suo onore, la 
sua riservatezza... aggirare le norme non mi sembra un gesto di civiltà 
(e comunque sarebbe un gesto da spiegare, perché così come descritto 
resta una petizione di principio).


> 3. Un oratore ha letto la proposta operativa, in particolare la 
> governance, ed ha assimilato la proposta a quella fatta dal senatore 
> americano Fritz Holling che voleva che tutti i dispositivi audiovisivi 
> portassero una funzionalità anticopia. Naturalmente l’equazione era 
> ingenerosa perché Holling voleva mettere la sua tecnologia in 
> _/tutti/_ indiscriminatamente gli apparati audiovisivi numerici, 
> mentre la proposta dmin.it si riferisce solo a quelli fatti per essere 
> usati con contenuti iDRM. Anzi, in realtà, neanche tutti, ma solo 
> quelli che devono dare le garanzie di sicurezza richieste dai 
> fornitori di contenuti/servizi. Come dice la proposta dmin.it: “Questo 
> non solo per i grandi fornitori di contenuti, ma anche in modo 
> specifico i piccoli content provider ed i prosumer, che sono il nuovo 
> mercato che si può aprire in Italia grazie all’iDRM”. In ogni caso 
> occorrerà che aggiungiamo del testo che eviti una lettura che va 
> contro l’intenzione della proposta.
>

Bene.

> 4. È opportuno notare che anche sistemi apparentemente poco intrusivi 
> come quello degli Alternative Compensation Systems richiedono 
> certificazione (chi riesce ad inventarne uno che non lo richiede si 
> faccia avanti), come ho messo in una slide che riassume il secondo 
> caso d’uso
>
> a. Tutti i cittadini pagano una tassa per poter utilizzare in totale 
> libertà tutti i contenuti pubblicati in Italia
>
> b. Si costituisce/individua un’agenzia incaricata di ricevere 
> informazione di uso dei contenuti
>
> c. Ogni autore/artista/produttore/editore rilascia i suoi contenuti 
> con la tecnologia di “event report” che informa l’agenzia/altri aventi 
> diritto ogni volta che il contenuto viene usato
>
> d. Tutti i dispositivi di consumo posti in vendita nel territorio 
> nazionale sono certificati per emettere correttamente l’“event report”
>
> e. L’agenzia fornisce l’informazione corretta per ridistribuire i 
> proventi delle tasse agli aventi diritto in proporzione al consumo dei 
> contenuti stessi
>
Il primo punto sarebbe sostenibile se tutti i cittadini italiani 
potessero permettersi un mercato di lusso e informatico:
perché mia nonna, che non ha nemmeno il pc, dovrebbe pagare quella tassa?
Perché, più in generale, dovrebbe pagarla chi non può o non vuole 
utilizzare certi servizi?

Il secondo punto rappresenterebbe l'aggiramento di cui sopra? In che 
termini? Detta così resta un petizione di principio.
Per quale motivo i cittadini dovrebbero cedere i dati all'agenzia? E a 
che titolo?


> 5. C’è stato (non solo al convegno, ma anche in un altra conferenza di 
> Giovedì pomeriggio, sempre a Trento) il solito scontro fra chi pensa 
> che i media (digitali o meno) debbano crearsi, distribuirsi e 
> consumarsi in un certo modo e che rifiuta la creazione, distribuzione 
> e consumo “a pagamento”. L’esistenza di un mecenate può essere un modo 
> (ma cosa succede se il mecenate mette delle condizioni che uno non è 
> disposto ad accettare?) e l’economia del dono può essere una valida 
> modalità per chi vuole così operare. Porsi l’obiettivo di creare 
> l’equivalente media di wikipedia (mediapedia) può essere un modo 
> interessante, ma non si possono costringere tutti i creatori a donare 
> le loro opere. Infine, non dimentichiamolo, l’obiettivo di dmin.it è 
> di “consentire all’Italia di acquisire un ruolo primario nello 
> sfruttamento del fenomeno globale digital media”. Può darsi che 
> mediapedia o l’economia del dono possano raggiungere tali obiettivi. 
> Io, nella mia limitatezza, non li ho ancora visti, ma questo non 
> significa che non veda con simpatia chi ci voglia provare (purché non 
> voglia imporre le sue idee sugli altri).
>

Economia del dono: un altro tema a me particolarmente caro. Anche qui ci 
sono cose che non capisco:
L'economia del dono è per definizione non imposta, non posta, non 
positiva, ma naturale: si tratta, se proprio vogliamo inquadrarle 
giuridicamente, di obbligazioni naturali (art. 2034 cod. civ.). E' un 
modo per voltare pagina superando il sinallagma economico dominante 
(fondandolo sull'etica, non sulla moneta), quindi paragonare la 
prospettiva economica di dmin.it con l'economia del dono è come 
paragonare una fabbrica con una religione.
Tuittavia, se vogliamo parlare di risultati pratici, dmin.it per il 
momento gli obiettivi se li è solo posti, mentre le banche del tempo, 
che sono un importante esempio di economia del dono, sono state 
riconosciute dallo Stato, sono diffuse in tutta Italia e sono promosse 
dalle autonomie locali e dal governo centrale.
Obiettivo dello "sfruttamento del fenomeno globale digital media": penso 
che basti dire "Internet" per rispondere.
O (come dice Lessig) facciamo una legge fascistissima per cui poi non 
resta da fare altro che obbedire e buona notte, oppure dobbiamo capire 
che la proprietà intellettuale non è un bene materiale e che le opere 
dell'ingegno non sono le automobili di cui lei parla.
Dobbiamo incominciare a vedere nel fatto che un video circoli una 
pubblicità ad un prodotto (perché se un videoclip viene trasmesso 10.000 
volte in TV non è per imprudenza ma proprio per pubblicizzare un 
prodotto): e non c'è dubbio che YouTube sia una macchina di promozione: 
il ragazzino vede un game della Play Station e se gli piace se lo compra.

> 6. Ho visto con grande piacere che si comincia non solo a capire 
> (c’erano già prima quelli che capivano) ma anche a parlare, di Trusted 
> Computing Platform (TCP), la bête noire per eccellenza dell’anti DRM. 
> Il problema non sta nella TCP ma in chi la controlla. Evidentemente la 
> proposta dmin.it per iDRM si basa su una qualche forma di TCP, quindi, 
> come minimo, ne dobbiamo parlare in dmin.it per vedere che cosa 
> effettivamente si possa dire, meglio, che il 31 maggio ci siano 
> proposte concrete.
>
Scusi ma quando, nell'intervista per "Scarichiamoli!" le ho domandato 
sul rapporto tra TC e DRM mi ha risposto: "Non capisco la domanda". Era 
solo scortesia oppure soltanto in seguito ha scoperto che la domanda 
aveva un significato?
Metto comunque in cc la lista no1984, perché spero, a questo punto, che 
ci sia un vero confronto su questo tema (come su altri temi):
metto anche in cc la community di creative commons nonché la lista 
software libero.

Per quanto riguarda, infine, la richiesta di De Martin, tutelare il 
diritto di citazione (come altri diritti), mi sembra più che logico, ma 
non attraverso un DRM di protezione (e spero che anche De Martin sia 
d'accordo con me).

Saluti,
n.a.g.



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