[Discussioni] seminario Universita' e brevetti -- relazione

Francesco Potorti` pot a softwarelibero.it
Gio 19 Dic 2002 16:49:38 CET


Ieri a Pisa si è tenuto un seminario dal titolo «Università e brevetti»,
organizzato dalla  giovane commissione tecnica  brevetti dell'università
di Pisa  per informare  i ricercatori dell'università  sulle possibilità
offerte dai  brevetti per sfruttare  o comunque valorizzare  i risultati
pratici delle loro ricerche.

Chi è  interessato solo alle  poche cose che  si son dette  sui brevetti
software cerchi la parola software nel seguito.

Introduce   Emilio  Vitale,   presidente   della  commissione.    Trenta
università  italiane hanno  formato  una rete  per  lo sfruttamento  dei
risultati  della   ricerca,  in  modo  da   condividere  informazioni  e
soprattutto  esperienze e  tecniche.  Il  decreto dei  cento  giorni del
governo  prevedeva fra  l'altro  una norma  che  assegna ai  ricercatori
pubblici la titolarità dei  brevetti da loro depositati (precedentemente
la titolarità  era dell'ente di appartenenza).  Nell'ultimo  anno a Pisa
c'è stata una forte crescita nel numero di brevetti depositati, da pochi
o niente negli anni  prima a 13 richieste e 7 brevetti  cui è stato dato
il via per  la domanda di deposito.  Dall'anno  prossimo si potrà capire
se c'è stato ritorno.

Paola  Cacciatori,  segretaria  della  commissione,  elenca  i  tipi  di
brevetti:   invenzione   industriale,   modello   di   utilità,   diegno
ornamentale,  varietà vegetale,  maschera  per microchip.   Il ruolo  di
divulgazione del brevetto è importante, infatti l'80% delle informazioni
contenute nei database di brevetti non sono disponibili altrove.

Luigi  Boggio,  consulente brevettuale,  dice  che  il modello  classico
finanziamento  pubblico  -->  ricerca  pubblica  -->  pubblicazione  dei
risultati,  che  è  andato bene  fino  a  un  paio  di  anni fa  ora  va
trasformato  in  un  modello  che  preveda  protezione  della  proprietà
intellettuale.

Un rappresentante  della camera di  commercio spiega com'è  la struttura
dei loro centri di consulenza in Italia, e dice che su www.espacenet.com
c'è un completo database,  liberamente accessibile a tutti, dei brevetti
europei.  Una risorsa preziosa per vedere da vicino come stanno le cose.

Andrea Bonaccorsi, prof. dell'istituto S.Anna di Pisa, riporta i dati di
uno studio  di colleghi  che hanno appurato  che negli  ultimi vent'anno
circa 900  accademici italiano hanno depositato circa  1400 brevetti, su
38000  depositati  in Europa.   Il  4%  dei  brevetti italiani  sono  di
accademici  (il  5% in  Europa).   Il  13-14%  dei docenti  italiani  in
elettronica  o telecomunicazioni  sono titolari  di almeno  un brevetto.
Dal punto di vista etico, il modello della "repubblica della scienza" (o
mertoniano) che prevede fondi pubblici  e pubblicità dei risultati non è
in opposizione col modello dei diritti di proprietà intellettuale, ma ne
è complementare.  I dati mostrano  che di solito i centri forti nell'uno
lo sono anche nell'altro.

Andrea  Piccaluga, del  S.Anna,  dice  che dieci  anni  fa gli  spin-off
dall'università  venivano  tenuti  nascosti,  ed erano  sul  filo  della
legalità, oggi sono regolamentati  ed incoraggiati.  Una cosa simile sta
avvenendo oggi  per i brevetti,  che fin ora  sono stati quasi  sempre a
nome dei ricercatori stessi, ed usati come titolo accademico.  Il numero
dei brevetti  delle università italiane  è analogo a quello  europeo, ma
quasi nessuno è sfruttato (non ho capito  se in Europa è lo stesso o no,
ma credo di sì).

Marco Pellegrini, del  CNR, dice che negli USA c'è  un periodo di grazia
di un anno  dalla divulgazione dell'invenzione al momento  in cui si può
presentare domanda,  in Europa  no, ma in  Italia il  brevetto nazionale
svolge un'analoga funzione ad un costo ridotto, dai 2kE ai 4kE.

Durante la parte finale, poco prima che facessi una domanda sui brevetti
software,  Luigi Boggio  ne  parla.  A  mia  richiesta di  precisazione,
spiega  che in  Europa  la legge  dice che  il  software «in  sé» non  è
brevettabile.   La norma  «in sé»  permette delle  eccezioni,  tanto che
l'ufficio  brevetti europeo  accetta il  95% delle  domande  di brevetti
software, ma  in Italia  la mentalità  diffusa è che  il software  non è
brevettabile,  per  cui  le  aziende  di  solito  evitano.   I  brevetti
sfruttati  sono molto  meno del  10% di  quelli depositati,  e  questo è
normale.  Le università hanno pochissismi brevetti che rendono, e questo
è normale.  Sono tuttavia importanti  perché avere un brevetto è l'unico
modo  di raccogliere  capitali di  ventura per  finanziare  uno spin-off
(altrimenti  i finanziatori  non ti  ascoltano neanche)  e  per definire
meglio i limiti della proprietà intellettuale dell università.

Dopo  il seminario, chiedo  ulteriori precisazioni  a Luigi  Boggio.  Le
norme europee prevedono  che il software può far  parte di un'invenzione
brevettabile,  purché sia  funzionale  alla soluzione  di uno  specifico
problema tecnico  che faccia parte dell'invenzione.  In  pratica è quasi
sempre  possibile presentare  l'invenzione  in maniera  che il  software
appaia come strumentale alla soluzione di un problema tecnico.

Gli  chiedo   un  confronto  fra   la  legislazione  europea   e  quella
statunitense, non si vuole sbilanciare  e cerca di tagliare il discorso,
d'altra parte lui  è un consulente e forse non  gli piacciono i discorsi
generici o non si fida di me, non ho capito.

Comunque,  mi   dice  che  non   ci  sono,  nella   pratica,  differenze
significative,  le  possibilità, le  opportunità  ed  i  rischi dei  due
meccanismi brevettuali sono essenzialmente le stesse, la differenza vera
è che  le maglie  in USA  sono molto più  larghe, lì  passa praticamente
tutto, in Europa no.  Poi, ovviamente, bisogna vedere caso per caso.



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