[Discussioni] seminario Universita' e brevetti -- relazione

Francesco PotortŽC pot a softwarelibero.it
Sab 21 Dic 2002 03:06:31 CET


Simo Sorce:
>Il problema è che ormai non so più che cosa esattamente si intenda per
>brevetti in generale, c'è un forte movimento *in tutti i campi di
>applicazione del brevetto industriale* a brevettare le idee e non le
>soluzioni tecniche. 

Forse perché la distinzione è sfumata?

>brevetto e la "proprietà intellettuale" son un bene in assoluto, è
>semplicemente falso e in malafede.

Non l'ha detto nessuno, infatti.

>> La gran maggioranza dei brevetti non ha valore economico.
>Se non ha valore economico allora sono un danno

Questa consequenzialità non esiste.  Chi prova a saltare in alto sbaglia
la gran parte delle volte, per riuscire pochissime.  E ogni volta che
salta si stanca e rischia di farsi male.  E tuttavia provare non è un
danno, è il prezzo pagato per riuscire.

>> Pure qui il discorso è opinabile.  La paga chi usa quei prodotti, e i
>> proventi vanno a chi li ha resi possibili.
>Ti ricordo che li ha già pagati con fondi pubblici, io sto parlando
>specificamente dell'uso del brevetto nelle istituzioni pubbliche, non in
>generale.

Non è ovvio come distribuire i soldi pubblici, né come valutare i
risultati.  Questo potrebbe essere un modo.

>Hai mai letto un brevetto?
>E uno software? Credi di trovarci dentro i sorgenti?

Luigi Boggio dice che, per definizione, un brevetto deve essere scritto
in maniera tale che un esperto del settore sia in grado, leggendolo, di
ottenere i benefici che il titolare proclama di ottenere con la propria
invenzione.  Lui parlava di flow chart.  Quindi presumo che non importa
che ci siano i sorgenti, basta che sia descritto come scriverli.

>> Attenzione, anche la pubblicazione tradizionale è una lotteria.
>> Probabilmente il 98% delle pubblicazioni accademiche non ha alcun
>> valore.  Ma è difficile dirlo prima, e ricerche apparentemente senza
>> senso talvolta si scoprono utili molto tempo dopo.  Quindi la lotteria
>> esiste anche con le pubblicazioni, e forse in maniera ancora più vasta e
>> radicale che con i brevetti.
>
>Nelle pubblicazioni arrivare primi è si importante, ma anch se non
>arrivi primo il lavoro che hai fatto non lo butti nel cesso, ne tiri
>fuori un articolo che corrobora o smentisce le tesi dell'altro che da
>spunti nuovi o chierisce aspetti che l'altro non aveva trattato.

No, non è così.  La gran parte degli articoli pubblicati sono da buttare
nel cesso.  È perfettamente normale.  Solo una minima parte della
produzione scientifica pubblicata ha una qualche importanza.  Ma lo si
scopre solo a posteriori, dopo un tempo non noto a priori.

>> Stesso nella ricerca di base, basata su pubblicazioni :-)
>Molto meno.

Credo che sia il contrario.  La quantità di ricerca di base da buttare è
altissima. 

>Questa argomentazione è piuttosto opinabile, l'italia è indietro perchè
>da 20 anni a questa aprte non esiste più una classe dirigente degna di
>questo nome. Gli industriali pensano ormai solo a vendere e realizzare
>l'uovo oggi, invece che aspettare la gallina dalle uova d'oro domani.
>In italia non c'è più investimento nell'industria, si pensa
>esclusivamente a massimizzare i profitti a breve termine. Questo è il
>male dell'italia.

È probabilmente uno dei mali, ma la ricerca fa la sua, e parecchio.  Ti
elenco alcuni indizi.  In Italia si spende la metà (rispetto al PIL) in
ricerca rispetto alla media altri paesi industrializzati.  La mentalità
più comune fra gli accademici è di non volersi sporcare le mani colla
tecnologia, perché quello è lavoro di bassa manovalanza.  Fa carriera
chi pubblica tanti articoli, chi realizza qualcosa resta al palo.  Fino
a ieri chi riusciva a far soldi con le proprie ricerche, magari fondando
una ditta, era guardato come ladro di denaro pubblico, invece che come
creatore di ricchezza.

>> Non ha senso dire che la ricerca pubblica si debba occupare solo
>> di ricerca di base.
>Dire, solo probabilmente è eccessivo

Non è «probabilmente» «eccessivo» è *sicuramente* *assurdo*.

>				     , ma la ricerca di base è l'unica
>che non può essere finanziati da altri che dall'università e quindi deve
>essere sempre l'obbiettivo, la ricerca applicata enll'università
>dovrebbe essere strumentale a questo obbiettivo secondo me.

Non funziona così.  Fra la teoria e la pratica c'è un abisso, in mezzo
c'è tanto da riempire, e spesso quel tanto è costoso e rischioso, e non
ha speranza di esser fatto se non con denaro pubblico.  Quale credi che
sia stato il principale motivo per cui Reagan riuscì a far passare
quell'assurdità delle guerre stellari?  Nessun tecnico pensò mai che il
progetto avese qualche speranza di riuscire (e infatti non riuscì mai),
ma passò perché fu una scusa per finanziare con denaro pubblico le
ricerche applicate che l'impresa privata mai si sarebbe potuta
permettere.

>> È vero, questo è un problema.  Dall'altra faccia della medaglia c'è il
>> problema opposto: «perché nessuno si è sognato di sviluppare un
>> dispositivo commerciabile usando la vostra idea?  Perché, non essendo
>> brevettata, e non brevettabile perché è pubblica, nessuno ci
>> rischierebbe una lira».
>Se è una cosa utile di cui c'è richiesta la si fa. 

Ti sbagli.  Non ci sono le cose utili e quelle inutili.  Ci sono le cose
che forse saranno utili, e il forse può essere più o meno forte, senza
soluzione di continuità.  Quando il forse è abbastanza forte, e
l'azienda ha abbastanza soldi da rischiare, si prova.  La gran parte
delle volte va male.  L'altra faccia della medaglia di cui parlo non è
ipotetica, l'ho sentita più volte con le mie orecchie, ed è la norma.

>						    Non si smette di
>costruire automobili perchè i brevetti fondamentali sono scaduti ...

Non c'entra.  Le automobili le sai già costruire, non rischi.  La
questione è sulle idee nuove.

>> La ragione è che progetti di questo tipo
>> riescono una volta su venti, e chi investe per ingegnerizzare da
>> quell'uno riuscito deve coprire anche i costi degli altri diciannove
>> falliti, e per farlo deve essere libero per un po' dalla concorrenza.
>
>Questo va bene per progetti molto costosi e rischiosi portati avanti
>dalle industrie meccaniche e affini, non per qualsiasi campo di
>appliaczione.

No, va bene per quasi qualunque tipo di idea che non sia software.  E
molto spesso si applica anche al software.  Non parlo per sentito dire.

>> No, non esattamente.  Nel software l'altra faccia della medaglia, che ho
>> illustrato, pesa molto di meno, e continuerà a pesare molto di meno
>> finché la barriera all'ingresso della realizzazione industriale sarà
>> bassa (cioè finché i sistemi di sviluppo resteranno abbastanza semplici
>> da essere alla portata di uno o pochi individui).
>
>Quindi è il caso di introdurre i brevetti software così alziamo la
>barriera di ingresso ...

???  Ho detto che in generale nei brevetti industriali l'impedire ad
altri l'uso dell'idea è controbilanciato dal vantaggio concesso a chi
rischia.  Nei brevetti software questo controbilanciamento funziona
molto meno, perché normalmente si rischia di meno.  Questa mi pare la
differenza fondamentale dei brevetti software rispetto agli altri.

>> >> l'esperto di brevetti rispondeva alla mia domanda, e diceva che la
>> >> frase comune «in Europa non si può brevettare il software», benché a
>> >> rigore vera, è in sostanza falsa.
>> >Cosa che già sappiamo. 
>> Ecco, vedi?  Io non lo sapevo :-)  Sapevo solo la prima parte.
>Se avessi letto le slide che ci sono sul nostro sito lo sapresti :-)))

Sulle tue c'è scritto:

«In tutte le normative è esplicitamente vietata la brevettazione delle
idee anche se contorte interpretazioni delle normative hanno già
permesso negli Stati Uniti di aggirare questa norma e si vuole farlo
anche in Europa.»

Che è quel che io sapevo.  Quel che dice Luigi Boggio è diverso: non si
tratta di «contorte interpretazioni», ma di quel che c'è scritto, non si
«vuole farlo», ma lo si fa.

>> >di dire che per ora "fortunatamente" il fatto che l'ufficio Brevetti
>> >accetti questi brevetti non da certezza che poi abbiano valore e va
>> >provato ogni volta in tribunale.
>> È vero per qualunque brevetto, no?  Qual è la differenza per i brevetti
>> software?
>No, non sto parlando della prior-art o cose di questo tipo, nel caso dei
>brevetti software non è chiaro se essi possano essere rilasciati
>dall'Ufficio Brevetti, visto che l'UBE interpreta a modo proprio una
>norma che dovrebbe escludere questo tipo di brevetti. Altrimenti perchè
>starebbero facendo di tutto per cambiare le direttive?

Forse per allargare le possibilità di brevettazione del software e delle
idee?  Luigi Boggio dice che le maglie degli uffici brevetti USA sono
molto più larghe di quelli europei, lì si brevetta praticamente tutto,
qui no.



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