[Discussioni] seminario Universita' e brevetti -- relazione
Simo Sorce
simo.sorce a xsec.it
Sab 21 Dic 2002 14:46:22 CET
On Sat, 2002-12-21 at 03:06, =?ISO-8859-1?Q?Francesco Potort=8EC?=
wrote:
> Simo Sorce:
> >Il problema è che ormai non so più che cosa esattamente si intenda per
> >brevetti in generale, c'è un forte movimento *in tutti i campi di
> >applicazione del brevetto industriale* a brevettare le idee e non le
> >soluzioni tecniche.
>
> Forse perché la distinzione è sfumata?
Per niente, c'è una bella differenza tra brevettare l'idea di
teletrasporto e quella specifica implementazione del teletrasporto che
hai realizzato.
> >brevetto e la "proprietà intellettuale" son un bene in assoluto, è
> >semplicemente falso e in malafede.
>
> Non l'ha detto nessuno, infatti.
E` quello che lasciano intendere, e che qualcuno ha il coraggi odi
affermare, difatti ci sono persone che affermano che tutto dovrebbe
essere brevettabile.
> >> La gran maggioranza dei brevetti non ha valore economico.
> >Se non ha valore economico allora sono un danno
>
> Questa consequenzialità non esiste.
Se non producono richezza, rimangono solo le conseguenze di blocco del
suo utilizzo e della ricerca in quel campo, quindi sono deleteri.
> Chi prova a saltare in alto sbaglia
> la gran parte delle volte, per riuscire pochissime. E ogni volta che
> salta si stanca e rischia di farsi male. E tuttavia provare non è un
> danno, è il prezzo pagato per riuscire.
Questo vale solo in alcuni casi, non tutto costa molto. Devi considerare
che sforzi e concessioni devono essere equilibrati, se per sforzi troppo
piccoli si danno concessioni troppo grosse si fa un danno.
> >> Pure qui il discorso è opinabile. La paga chi usa quei prodotti, e i
> >> proventi vanno a chi li ha resi possibili.
> >Ti ricordo che li ha già pagati con fondi pubblici, io sto parlando
> >specificamente dell'uso del brevetto nelle istituzioni pubbliche, non in
> >generale.
>
> Non è ovvio come distribuire i soldi pubblici, né come valutare i
> risultati. Questo potrebbe essere un modo.
Secondo me no e infatti il brevetto non nasce per riconoscere il valore
di un ricercatore, ma permettere i grossi investimenti delle aziende e
li dovrebbe essere relegato, portato in altri campi lo squilibrio tra
danno e benficio per la società è troppo elevato.
> >Hai mai letto un brevetto?
> >E uno software? Credi di trovarci dentro i sorgenti?
>
> Luigi Boggio dice che, per definizione, un brevetto deve essere scritto
> in maniera tale che un esperto del settore sia in grado, leggendolo, di
> ottenere i benefici che il titolare proclama di ottenere con la propria
> invenzione. Lui parlava di flow chart. Quindi presumo che non importa
> che ci siano i sorgenti, basta che sia descritto come scriverli.
Magari fosse così ... ma nel campo del software il difficile è scrivere
il codice non descrivere cosa deve fare il programma.
L'insegnamento sta, qualche volta, nel sapere come è stata fatta la
realizzazione, il resto è banale, perchè nel software non ci sono limiti
fisici.
> >> Attenzione, anche la pubblicazione tradizionale è una lotteria.
> >> Probabilmente il 98% delle pubblicazioni accademiche non ha alcun
> >> valore. Ma è difficile dirlo prima, e ricerche apparentemente senza
> >> senso talvolta si scoprono utili molto tempo dopo. Quindi la lotteria
> >> esiste anche con le pubblicazioni, e forse in maniera ancora più vasta e
> >> radicale che con i brevetti.
> >
> >Nelle pubblicazioni arrivare primi è si importante, ma anch se non
> >arrivi primo il lavoro che hai fatto non lo butti nel cesso, ne tiri
> >fuori un articolo che corrobora o smentisce le tesi dell'altro che da
> >spunti nuovi o chierisce aspetti che l'altro non aveva trattato.
>
> No, non è così. La gran parte degli articoli pubblicati sono da buttare
> nel cesso.
No per due motivi.
1. non essendoci un monopolio l'articolo ti torna comunque utile, puoi
andare avanti.
2. No perchè non tieni conto di una marea di campi di applicazione che
non sono bianco, nero, si o no. Nel campo medico, biologico, ecc.. non
c'è una soluzione perfetta, un'articolo definitivo, ci sono sempre
sfumature, correzioni, aggiustamenti, confutazioni ... è ben più
complesso del campo del software o di quello delle scienze esatte.
> È perfettamente normale. Solo una minima parte della
> produzione scientifica pubblicata ha una qualche importanza.
Questo è un problema di qualità che non risolvi certo coi brevetti,
anzi!
> >> Stesso nella ricerca di base, basata su pubblicazioni :-)
> >Molto meno.
>
> Credo che sia il contrario. La quantità di ricerca di base da buttare è
> altissima.
Spiegami in che senso, detta così questa frase non ha molto senso.
> >In italia non c'è più investimento nell'industria, si pensa
> >esclusivamente a massimizzare i profitti a breve termine. Questo è il
> >male dell'italia.
>
> È probabilmente uno dei mali, ma la ricerca fa la sua, e parecchio. Ti
> elenco alcuni indizi. In Italia si spende la metà (rispetto al PIL) in
> ricerca rispetto alla media altri paesi industrializzati.
Questa è conseguenza diretta della mia affermazione, chi vuole
realizzare non investe e non fa ricerca.
> La mentalità più comune fra gli accademici è di non volersi sporcare
> le mani colla tecnologia, perché quello è lavoro di bassa manovalanza.
Non so quali accademici conosci, non è una cosa diffusa in tutti i
campi.
> Fino a ieri chi riusciva a far soldi con le proprie ricerche, magari
> fondando una ditta, era guardato come ladro di denaro pubblico,
> invece che come creatore di ricchezza.
E in questa italia, spesso avevano ragione.
> >> Non ha senso dire che la ricerca pubblica si debba occupare solo
> >> di ricerca di base.
> >Dire, solo probabilmente è eccessivo
>
> Non è «probabilmente» «eccessivo» è *sicuramente* *assurdo*.
E' una tua opinione.
> > , ma la ricerca di base è l'unica
> >che non può essere finanziati da altri che dall'università e quindi deve
> >essere sempre l'obbiettivo, la ricerca applicata enll'università
> >dovrebbe essere strumentale a questo obbiettivo secondo me.
>
> Non funziona così. Fra la teoria e la pratica c'è un abisso, in mezzo
> c'è tanto da riempire, e spesso quel tanto è costoso e rischioso, e non
> ha speranza di esser fatto se non con denaro pubblico. Quale credi che
> sia stato il principale motivo per cui Reagan riuscì a far passare
> quell'assurdità delle guerre stellari? Nessun tecnico pensò mai che il
> progetto avese qualche speranza di riuscire (e infatti non riuscì mai),
> ma passò perché fu una scusa per finanziare con denaro pubblico le
> ricerche applicate che l'impresa privata mai si sarebbe potuta
> permettere.
Certo, ma ricordati che stiamo parlando di brevetti ottenuti da ricerche
fatte con finanziamento pubblico, il mio discorso non è generale, ma
mirato al dicorso del brevetto. Se le ricerche sono finanziate con
denaro pubblico, i risultati devono essere poi disponibili a tutti,
senza dover pagare dazio a questo o a quello. O quantomeno fortemente
regolati: nessuna discriminazione, prezzo accessibile a tutti, durata
molto breve.
> >> È vero, questo è un problema. Dall'altra faccia della medaglia c'è il
> >> problema opposto: «perché nessuno si è sognato di sviluppare un
> >> dispositivo commerciabile usando la vostra idea? Perché, non essendo
> >> brevettata, e non brevettabile perché è pubblica, nessuno ci
> >> rischierebbe una lira».
> >Se è una cosa utile di cui c'è richiesta la si fa.
>
> Ti sbagli.
Ti sbagli tu.
> Non ci sono le cose utili e quelle inutili.
Lo spazzolino da denti è utile, il talismano contro gli spiriti è
inutile.
> Ci sono le cose che forse saranno utili, e il forse può essere più
> o meno forte, senza soluzione di continuità. Quando il forse è
> abbastanza forte, e l'azienda ha abbastanza soldi da rischiare,
> si prova.
E questo è lapalissiano e non c'entra nulla col brevetto, è il normale
rischio di impresa.
> La gran parte delle volte va male.
Stavi parlando di una tecnologia già nota che finanziata con fondi
pubblici non viene brevettata, il rischio è già stato scongiurato si
tratta solo di utilizzare la tecnologia dove serve.
> L'altra faccia della medaglia di cui parlo non è ipotetica,
> l'ho sentita più volte con le mie orecchie, ed è la norma.
Questa non l'ho capita, ho l'impressione che parliamo di cose diverse,
meglio parlarne a quettr'occhi.
> Non c'entra. Le automobili le sai già costruire, non rischi. La
> questione è sulle idee nuove.
La questione NON è sulle idee.
Ma sulle realizzazioni, sui metodi per realizzare un'idea.
E se i metodi sono trovati con _fondi pubblici_ non c'è più il rischio
da a mmortizzare, e il NON brevettarli promuove subito la competizione e
quindi rende più velocemente disponibile la tecnologia a tutti a basso
costo.
> No, va bene per quasi qualunque tipo di idea che non sia software. E
> molto spesso si applica anche al software. Non parlo per sentito dire.
Certo, come si applica ai farmaci e ai pezzi di DNA.
Il fatto che si applica, sia applicabile o qualcuno spinga per
applicarli, non vuol dire che sia giusto farlo.
> ??? Ho detto che in generale nei brevetti industriali l'impedire ad
> altri l'uso dell'idea è controbilanciato dal vantaggio concesso a chi
> rischia.
Esatto, se l'azienda rischia in prima persona è giusto controbilanciare.
Se l'azienda non rischia perchè l'univerità ha risolto il problema con
fondi pubblici, non c'è nulla da controbilanciare!
> Che è quel che io sapevo. Quel che dice Luigi Boggio è diverso: non si
> tratta di «contorte interpretazioni», ma di quel che c'è scritto, non si
> «vuole farlo», ma lo si fa.
Si tratta proprio di contorte interpretazioni, il discorso è lungo e
difficile, ma ticonsiglio di leggere i recenti thread sulla lista
discussion a fsfeurope.org, per capire, li ci siamo già spiegati.
> Forse per allargare le possibilità di brevettazione del software e delle
> idee? Luigi Boggio dice che le maglie degli uffici brevetti USA sono
> molto più larghe di quelli europei, lì si brevetta praticamente tutto,
> qui no.
Certo, l'intento finale di chi vuole brevettare il software è
raggiungere la brevettabilità di qualunque cosa o idea.
Simo.
--
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