[Discussioni]dubbio amletico
mi.ro a iol.it
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Mer 10 Set 2003 16:00:05 CEST
>...
> Ma non è questo il punto. La questione che ponevo è se per qualsiasi
> sequenza di bit funzionante abbia senso parlare di qualcosa di diverso
> da un programma.
>
> ciao,
> Carlo
Scusate l'intrusione nel dibattito. Come al solito i fenomeni hanno più verità, più punti di osservazione. Se pensiamo che un programma è un eseguibile e che non necessita di una piattaforma software di esecuzione, allora dobbiamo intendere per programma solo un file contenente istruzioni in "formato macchina".
Ma dato che tutto il marasma verte sul sorgente (è su quello che pende la proprietà intellettuale), scritto in un linguaggio simbolico e intellegibile all'uomo, mi viene da pensare che l'accezione giusta di programma si estenda. A questo punto non vedo particolari differenze fra un compilato e un interpretato: anche il linguaggio assembler viene "interpretato" da un compilatore.
Credo quindi che per parlare di programma in ambito PI, convenga identificare un testo che abbia la proprietà di accettare un input, elaborarlo e produrre un output, quando interpretato su un'apposita piattaforma e/o eseguito su un'apposita piattaforma, aggiungendo che le due piattaforme possono coincidere o meno. Non fa differenza.
Allora il testo di una pagina di romanzo è un programma:
1. Viene interpretato da un word-processor
2. Ha in input il set di font disponibile e la griglia vuota dei caratteri nella pagina
3. Seleziona per ogni posizione il carattere dal font sulla base di un codice
4. Rende in output la pagina
L'unica differenza che vedo è che, al contrario del programma come comunemente inteso, non possiede istruzioni condizionali "esplicite" (non implementate nell'interprete).
Ma se questa fosse la discriminante, anche un sorgente C che non includa istruzioni "if", "while", "for" non dovrebbe essere considerato alla stregua di un programma. E invece lo è.
Ciao. Roberto Micarelli
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