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Simo Sorce s at ssimo.org
Sun Apr 11 18:56:13 CEST 2004


Visti i commenti arrivati in lista sulla questione brevetti e economia
segue uno spunto di riflessione.


La visione politica e sociale della giustizia è fondamento di uno stato
sano, l'appiattirsi infatti senza riflessione sull'uso delle leggi
esistenti senza adeguarle alla situazione poitico-economico presente non
è altro che il segno distintivo di una civiltà cadente che si ripiega su
se stessa e in generale di tutti i movimenti denominati appunto
conservatori. Così come per la rivoluzione industriale e tutte quelle
precedenti, è necessario riconsiderare tutte le normative relative alla
luce della nuova rivoluzione informatica.

Dispiace per altro constatare come classiche giustificazioni che trovano
ben poco fondamento storico ne tanto meno nella realtà siano sempre così
diffuse e riprese.

La visione romantica del piccolo autore/inventore che diviene padrone
del proprio destino grazie al diritto d'autore/brevetto industriale è
appunto tale: romantica.

È ben noto come, se non in ben pochi casi su sui si incista la leggenda,
i poveri autori e i poveri inventori rimangono sempre tali. Per darne
una breve prova d'esempio basti pesare al costo di registrazione di un
brevetto per un inventore, o al fatto che coi libri oggi non ci si viva
(ci sono autori che hanno all'attivo decine di libri che ben sanno come
non ci si viva con le royalties che ne derivano benchè le vendite non
vadano poi male). Certo è facile pensare ai casi limite, ai 10
cantanti/autori nazionali che han fatto successo, o ai due/tre piccoli
inventori che nel passato hanno avuto occasione di emergere grazie a
questo istituto. Ma se si guarda al quadro generale si vedrà quanto la
situazione sia ben più desolante e al successo di un pugno di uomini
corrisponde invece un servilismo ben peggiore di quello dovuto ai vari
mecenati dagli autori del passato. Di questi abbiamo ancora traccia
storica, le loro opere han realmente cambiato il mondo e il servilismo
politico non ha certo attenuato la loro arte o la loro tecnica (e non
intendo qui promuovere una societa fondata sul mecenatismo ovviamente).

Ad oggi invece ci troviamo con pochi grossi attori sul mercato che di
fatto sono dei moderni mecenate i quali però non garantisco molto ai
veri autori, ma ne traggono avidamente i frutti economici degradando
spesso l'opera artistica per mere necessità di mercato.

Detto questo accennerei invece alla deriviazione storica (vedi
legislazioni veneziane del primo 700) di questi due diritti che renderà
più esplicito perchè la visione romantica è una mera illusione. Se
infatti ci chiediamo da dove nascono sia il copyright (poi trasformatosi
in diritto d'autore presso di noi) o il brevetto vediamo che il primo
nasce solo nel momento in cui viene inventata la macchina a stampa, il
secondo con l'invenzione delle macchine in generale.

Questa innovazione permette finalmente di riprodurre in molte copie una
singola opera e di trarne profitto dalla vendita delle copie. Il
beneficiario dei primi abbozzi di diritto, non è l'autore ma l'editore
che utilizza questa legislazione come mezzo per evitare la concorrenza,
con il bene placido delle autorità che invece ottengono in cambio la
possibilità di imporre una censura efficace poichè sono ben localizzati
sia la locazione sia la reposnsibilità di chi stampa. Ben presto questo
diritto comincia finalmente a comprendere anche diritti morali per
l'autore al prezzo però spesso di una complicazione delle leggi che
coumnque sono sempre scritte con ben presente in mente il profitto degli
editori. Questa predominanza degli editori e del profitto sulla valenza
artistica e dei diritti morali degli autori è più accentuata nei paesi
anglosassoni che da noi. Ma da noi non è certo inferiore ai giorni
nostri. Le varie legislazioni internazionali (Convenzione di Berna,
Accordi TRIPS) seguono sempre da vicino il modello anglosassone del
copyright "armonizzando" molto bene tutto ciò che concerne il profitto,
molto meno ciò che riguarda il diritto d'autore (o meglio diritto morale
dell'autore).
In un mondo in cui finalmente l'invenzione della stampa intesa in senso
classico è stata superata e quindi l'autore sarebbe libero di decidere
effettivamente e autonomamente della propria opera saltando gli ormai
obsoleti (e nocivi) intermediarii si rivela la natura a due faccie del
diritto d'autore. Da una parte la teorica difesa e autonomia
dell'autore, dall'altra la reale predominanza degli editori.
Sono sempre gli editori, tranne che per pochi casi rari, che decidono
come, quando e cosa pubblicare. I diritti degli autori sono ingabbiati
in contratti prestampati che sono ovviamente a favore dell'editore
(avete mai provato a pubblicare un articolo su una rivista o un libro? 
credete di poter scegliere voi le modalità con cui esplicitare il vostro
diritto d'autore?), addirittura in italia una organizzazione come la
SIAE decide al posto degli autori come le loro opere devono essere
licenziate impedendo contro la volontà dell'autore la libera
utilizzazione delle opere. Insomma a fronte di una legge che in teoria
mette tutto nelle mani degli autori, nella pratica essa è costruita ad
uso e consumo dell'intermediario (editore). E nonostante queste
distorsioni il diritto d'autore rimane ancora uno strumento giuridico ma
soprattuto socio-politico che ha un suo senso di esistere e che si
avvicina ad un diritto quasi naturale che è il diritto di paternità
dell'opera pur mantenendo in seno un diritto puramente virtuale che è il
diritto di copia. Dico virtuale perchè nella natura la limitazione alla
copia esiste solo per gli oggetti materiali e non per quelli
immateriali, per qui discendere un diritto giusnaturalistico per tutti
gli aspetti del diritto d'autore mi sembra francamente eccessivo.

Prendiamo in considerazione il brevetto industriale. La sua storia
deriva dalla pratica di rilasciare licenze regali per la costruzione
soprattutto di apparati meccanici.
Come per il caso del diritto d'autore, lungi dal voler essere uno
strumento a servizio degli inventori o dell'inovazione è stato sempre
uno strumento ad uso e consumo di pochi ricchi produttori dal punto di
vista del profitto e dei governanti dal punto di vista del controllo.
Come per il copyright questo strumento giuridico ha ovviamente subito
una evoluzione nel tempo e un cambio di obiettivi. Attualmente il
brevetto industriale comunque non comprende di fatto alcun tipo di
riconoscimento autorale o di paternità fin dalla nascita e infatti si
applica solo dopo costosa registrazione. Le finalità dichiarate del
brevetto industriale sono le seguenti: promozione dell'innovazione
attraverso la concessione di un monopolio commerciale limitato che
stimoli la produzione e la diffusione delle innovazioni.
Di qui la mia personale considerazione che anche questo diritto nulla ha
a che vedere con diritti di derivazione naturale, ma che sia un semplice
strumento politico-economico e tale dovrebbe rimanere. La distorsione di
mercato che esso produce attraverso il monopolio è giustificata solo nei
casi in cui questo effettivamente porti maggiori benefici alla società
nel lungo termine rendendo sopportabili i temporanei problemi che esso
introduce.

Quindi benchè è comprensibile e condivisibile l'estensione del diritto
d'autore ad altri generi in cui è importante la componente autorale e
artistica come in parte per il software (anche se questo è spesso un
caso limite), molto meno automatica e comprensibile è l'estensione
dell'istituto del brevetto ad altri campi economici prima che ne sia
provata l'effettiva efficacia di promozione dell'innovazione e che i
vantaggi a lungo termine non siano sbilanciati verso il basso rispetto
agli svantaggi a breve.

Particolarmente nel campo del software (ma dell'informazione nel suo
insieme) i brevetti (cos' come sono ora quantomeno) non sono certo uno
strumento che possa raggiungere alcuno dei risultati che ne sarebbero
fondamento lasciandoci solo con gli svantaggi a breve e lungo termine.
Svantaggi per tutto, ma naturalmente vantaggi economici per pochi
potenti.

È molto sconfortante vedere respingere gli argomenti fondanti di una
disciplina giuridica in modo così semplicistico, spero sia dovuto al
fatto che spesso nella specializzazione ci si dimentichi poi di dare
un'occhiata al quadro generale che è poi quello che conta.
Ben noto è infatti che la common law entra sempre più prepotentemente
nei nostri ordinamenti (non è un affermazione giuridica ma sostanziale)
tradotta dai vari trattati internazionali a cui siamo costretti ad
aderire volenti o nolenti (e siglati da governi spesso senza l'esplicita
approvazione dei parlamenti in una situazione abbastanza
anti-democratica). Altrettanto noto, agli esperti del settore ma anche a
chiunque volesse dedicare qualche ora di tempo per studiare la materia,
è che il brevetto industriale applicato al software, agli algoritmi e ai
metodi commerciali si traduce in modo estremamente semplice in pratica
in una brevettazione delle idee. È facile fare sofismi per cui il fatto
che qualsiasi uso di una idea se monopolizzato non significa che l'idea
stessa lo sia, ma questo rimane appunto una elucubrazione mentale.
All'atto pratico l'idea è monopolizzata allo stesso modo in cui dare il
monopolio dell'uso del colore rosso ad un soggetto privato, benchè non
costituisca una monopolizzazione dell'idea in se di rosso ne costituisce
una monopolizzazione di fatto agli atti pratici indistinguibile.


Il nostro ordinamento è ormai in balia delle leggi e dei trattati
internazionali che vengono siglati a velocità impressionante dai nostri
cari governanti. Meglio guardare in avanti perchè lo sviluppo di certe
legislazioni in alcuni paesi o in alcuni organismi internazionali ci
riguardano ormai piuttosto direttamente e vengono puntualmente importate
da noi dopo poco tempo. Questione di lungimiranza insomma.

saluti,
Simo.



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