[Discussioni] seminario Universita' e brevetti -- relazione
Simo Sorce
simo.sorce a xsec.it
Lun 23 Dic 2002 09:46:53 CET
On Mon, 2002-12-23 at 00:52, Francesco Potorti` wrote:
> Premessa: chiedo scusa per quanto questi messaggi stanno diventando
> lunghi. Ho cercato di tagliare il più possibile per ritornare in tema.
> >Magari fosse così ... ma nel campo del software il difficile è scrivere
> >il codice non descrivere cosa deve fare il programma.
>
> Perché dici questo? Mi sembrerebbe ovvio il contrario.
Dipende molto dal tipo di programma, l'unico caso in cui è difficile più
formalizzare che scrivere è nella creazione di nuovi algoritmi che NON
dovrebbe comunque essere meteria brevettabile secondo me, quindi negli
altri casi si tratta di mera realizzazione.
> Mentre il brevetto ha la potenzialità di bloccare una strada di ricerca,
> e questo che vuoi dire? Se è così, credo che tu abbia ragione.
Esatto! La pubblicazione invece non blocca nulla.
> Se guardi al passato, per arrivare a certe conclusioni nella teoria che
> ora sono date per acquisite, sono state esplorate tantissime altre
> strade rivelatasi a fondo cieco. Ricerca da buttare. Nel senso che poi
> una di quelle strade in futuro si potrà rivelare utile per
> qualcos'altro, ma succede in un caso su cento. La maggior parte è e
> sarà sempre da buttare (ma non si sa mai a priori quale).
Questo è ovvio, ma riguarda in gran parte la ricerca di base (forse
anche sul termine ricerca di base non ci intendiamo :-/ )
> Il tutto per mettere in rilievo che non è ovvio che i due binari della
> ricerca pubblica proposti al seminario come paralleli (pubblicazioni e
> brevetti) siano così diversi nei modi e negli esiti.
Negli esiti certamente, nel resto non cambia nulla, e siccome secondo me
gli esiti sono dannosi nel caso del brevetto, la cosa mi fa arrabbiare,
perchè lo si pone invece come un metodo migliore (ma non dicono per chi
evidentemente, anche se ti fanno intendere migliore per i ricercatori,
non lo è neanche per loro).
> Parlo della ricerca pubblica, quella che poi dovrebbe avere ricadute
> industriali. La ricerca privata ha le sue grosse colpe, ma la ricerca
> pubblica in Italia ne ha probabilmente altrettante.
Certo, am ricordati che la ricerca pubblica è finanziata dallo stato che
è guidato da persone che sono molto ben manovrate dagli industriali
quando gli serve, in usa da dove credi che siano venute le spinte per
dare più fondi all'università?
> Ne conosco un po', visto che ci lavoro, e ne sento parlare spesso, e
> oltretutto in un campo ingegneristico, dove la diffidenza verso la
> pratica è più bassa che nel resto dell'accademia. Non ti dico cosa mi
> raccontano i colleghi che lavorano in campi tradizionalmente più
> teorici, come la storia.
Beh visto che il brevetto non si applica alla storia, letteratura,
filosofia, ecc... non li ho presi neanche in considerazione, io mi
riferivo a ingegnieri, medici e biologi, campi in cui infatti come dici
tu, non è così vero che non ci si voglia sporcare le mani.
> È un'opinione ampiamente condivisa da chi conosce il sistema della
> ricerca in generale (non solo in Italia). A dir la verità, non ho mai
> sentito alcuno che pensasse il contrario, è una cosa data per scontata
> oggi. Credo che il tuo punto di vista fosse quello comune trent'anni
> fa.
>
> Comunque, mi sa che stiamo andando fuori tema. Sbaglio?
Lo dico sempre che si stava meglio quando si stava peggio, si siamo sul
filo del fuori tema, ma questi dati mi permettono di valutare meglio
come vengono percepite queste cose e quindi come parlare meglio delle
nostre idee, quindi credo sia utile.
> Questo potrebbe avere un senso. Certamente per la non discriminazione,
> alla durata differenziata credo poco.
Ok, 3 anni per tutto allora :-)
La durata è importante, credi che ci sia possibilità di portare avanti
efficacemente la ricerca senza continuità? Stop di 20 anni per volta
rompono la possibilità che l'allievo apprenda da un maestro del campo
...
> Io parlo per esperienza diretta mia personale e di colleghi, per
> seminari tenuti da esperti del settore che lavorano sui finanziamenti
> alle nuove società, e per lunghi discorsi fatti con l'ufficio del CNR
> che si occupa dei brevetti. Quali sono le tue fonti?
> >E se i metodi sono trovati con _fondi pubblici_ non c'è più il rischio
> >da a mmortizzare, e il NON brevettarli promuove subito la competizione e
> >quindi rende più velocemente disponibile la tecnologia a tutti a basso
> >costo.
>
> Da un'idea alla sua realizzazione pratica i passi sono molti.
Il tuo problema Francesco è che salti da un piede all'altro.
Se parli di brevetti, implichi che hai trovato la soluzione tecnica, non
di idee!!!
Se hai trovato la soluzione tecnica e nessuno la vuole usare per un
prodotto, brevetto o meno non cambia nulla (anzi, se uno deve anche
pagare per realizzare una cosa di cui c'è poco interesse, stai sicuro
che non verrà mai realizzata).
> Anche nel
> caso (in Italia putroppo ancora raro) di un istituto di ricerca che
> arrivi a realizzare un prototipo funzionante che implementi una certa
> tecnologia, da lì al prodotto vendibile c'è almeno ancora la ricerca di
> mercato, l'ingegnerizzazione e la commercializzazione, tutte cose che
> costano, e che costituiscono quel rischio che tu dici non esserci: il
> prodotto può essere ben accolto dal mercato o no, per i motivi più
> disparati. E questo non si sa mai a priori.
Questo si chiama rischio di impresa, e c'è per qualsiasi prodotto di
qualsiasi tipo brevettato da te o da un'altro, non è questo che il
brevetto deve alleviare. Il brevetto serve a promuovere la ricerca non
ad eliminare la concorrenza !!!
> In tutto questo discorso a me stanno a cuore essenzialmente due cose:
>
> 1) dalla tua presentazione e da documenti FSF e dintorni, ho sempre
> appreso che in Europa i brevetti software non sono possibili, e che
> li vogliono far passare. Da Luigi Boggio apprendo che sono
> possibili, e in effetti già passano. Opinioni a parte (che
> l'interpretazione sia contorta o meno) qual è la verità?
La verità come sempre sta nel mezzo:
I brevetti sul software utilizzando varie tecniche e circonlocuzioni
vengono accettati, ma non sono probabilmente validi, perchè la normativa
è chiara, solo che l'ufficio brevetti si è inventato una serie di
termini autoreferenziali, come "effetto tecnico" o "effetto tecnico
ulteriore" per tentare di aggirare l'articolo 52(c), quindi non è
assolutamente detto che un brevetto concesso dall'ufficio brevetti
europeo sul software sia poi considerato valido (per metodo e non per
merito) da un tribunale. In usa e giappone invece un tribunale può solo
giudicare sul merito a quanto ne so, perchè la brevettazione del
software e dei metodi di buisness (addirittura) è possibile.
> 2) i tre gatti che hanno letto fin qui sono d'accordo sul fatto che la
> principale, forse unica differenza significativa dei brevetti
> software rispetto agli altri sta nel fatto che, mentre il danno che
> portano alla società è simile quello degli altri brevetti, il
> vantaggio è minore, perché il rischio che ci si deve accollare per
> industrializzare un brevetto software è minore?
No, io ritengo che nel caso delle idee astratte, algoritmi, software il
danno sia estremamente maggiore e i benefici praticamente nulli.
Simo.
--
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